GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 6° - Numero 58
GENNAIO 1945: DUE FATTI TRAGICI
SEGNANO, A BAZZANO E A SCURANO,
IL MORALE DELLE FORMAZIONI PARTIGIANE

di Mario Rinaldi
Sopra: Guerra (Mario Sulpizio) che comandava il Don Pasquino la notte del 31
gennaio 1945 a Scurano.

A fianco: a destra, Stakanoff (Celestino Rosati di Roncaglio), a sinistra Ilio (Luigi Cortese) commissario della 47° Brigata Garibaldi.
A narrarli nei particolari è Mario Sulpizio, (partigiano Guerra della 47° Brigata Garibaldi), uno che c'era e che quelle due vicende le ha vissute personalmente.
5 Gennaro 1945
La mattina del 5 gennaio 1945 Toni (Aventino Scotto) e Barba (Franco Boi), i due partigiani sardi del distaccamento Don Pasquino, erano partiti da Lodrignano per andare alla Villa di Bazzano dove il cascinaio Ghinizzini avrebbe dovuto consegnarci del burro e del formaggio. Nevicava forte e camminare era faticoso. Circa a metà strada, al bivio di casa Cavalli, i due compagni furono fermati e messi al corrente che a Scolchero c'erano i tedeschi del presidio di Ciano. Si erano fermati nella casa di Salati. Dietro front, quindi, e rirorno a Lodrignano.
Nel tempo di pochi minuti, poi, prendemmo nel Distaccamento la decisione di dare battaglia. Noi conoscevamo bene i nazisti di Ciano, eravamo al corrente della loro ferocia e sapevamo che chi entrava in quella caserma solo raramente ne usciva vivo. Partimmo in venti con le nostre armi leggere e tre mitragliatori Bren. A casa Cavalli assumemmo informazioni e ci dividemmo in tre squadre: una doveva puntare su San Giovanni, un'altra su Scolchero e la terza direttamente su casa Salati dove ci era stato detto che i tedeschi s'erano fermati. A Scolchero tutte le finestre erano chiuse e ogni piccolo particolare faceva pensare a un qualcosa di imminente. Ma una donna era venura a dirci che i tedeschi erano andati alla Costa, più oltre di circa due chilometri, nella casa del signor Boni. Puntammo allora tutti assieme verso la Costa e in prossimità di quelle case ci ridividemmo in tre squadre. Una verso Fontana, una vicino al cimitero e la terza sul prato dirimpetto a casa Boni. In quei momenti di attesa e di incertezza alcuni di noi scambiarono per tedeschi alcune donne che correvano a rifugiarsi nei fienili e nelle stalle e loro, a loro volta, fuggivano perché credevano che noi fossimo i tedeschi. La neve che cadeva fittissima favoriva questi equivoci. Ma i tedeschi non erano neanche in casa Boni. A quel punto la mia squadra entrò dal signor Boni, amico dei partigiani, e trovò 1o stesso Boni steso sul pavimento pieno di lividi e con forti dolori al costato per le botte che i tedeschi gli avevano dato. Cos'era dunque avvenuto? I tedeschi, arrivati che ancora non era giorno, erano entrati in tutte le case, avevano scorazzato, come si dice, e poi si erano ritirati. La neve ci impediva però di rilevare le loro orme, che se le avessimo viste ci sarebbe stato possibile metterci all'inseguimento. Corremmo a Fontana convinti che avessero preso la via del Mulino per rientrare a Ciano, poi a Corticone per intercettarli sulla strada di Traversetolo, ma tutto fu inutile. Di loro nessuna traccia. Ritornammo allora alla Costa dove, appena a lato della strada, scorgemmo i corpi di due nostri compagni morti che neanche si potevano vedere perché ormai totalmente coperti dalla neve. Erano Saetta (Guido Gherardi di San Polo) e Sten (Walter Costoncelli di Castione). La loro morte risaliva a un paio d'ore prima. Dopo aver portato i loro corpi nella cappella del cimitero incontrammo (era venuto a cercarci) un ragazzo di 12 anni. In paese lo chiamavano Ruganga, era un garzone, che aveva il volto segnato da varie tumefazioni. Quel ragazzo era il testimone di come quei due nostri compagni erano stati uccisi. Qualche giorno prima, Marco (Sergio Beretti di Reggio), che comandava la SAP (Squadre Armate Patriottiche) di Bazzano, aveva requisito un maiale a un signore sfollato a Scolchero che era proprietario di due poderi, uno a Bazzano e uno a Castelnuovo, tutti e due condotti a mezzadria. Quel signore di maiali ne aveva macellati due, uno per podere, e non accettava che i partigiani, avendo la sua stessa necessità di mangiare (in zona quel signore era conosciuto come persona tirchia e egoista), gliene avessero sequestrato uno. E lui, quei mattino, per vendicarsi, si era accodato ai tedeschi appena saliti da Ciano e li aveva guidati fino alla casa di Boni perché sapeva che in quella casa dormiva Marco, quello che gli aveva sequestrato il maiale. Marco fu così catturato e assieme a lui furono catturari Saetta e il figlio di Boni così come in altre case furono catturati Marino Casoni di Bazzano e il ragazzo Ruganga. E quando i tedeschi stavano per rornare a Ciano, i prigionieri legati uno all'altro, erano ormai passate le nove, ecco che si presenta il proprietario del maiale che dice a Marco "adesso il mio maiale me lo posso andare a riprendere". E Marco gli risponde "riprenditelo pure il tuo maiale". I prigionieri vengono quindi fatti camminare per circa duecento metri, poi Saetta viene slegato e fatto proseguire da solo. Percorsi venti metri, il comandante dei tedeschi, si chiamava Backman, gli spara un colpo di pistola alle spalle e lo colpisce alla testa e la stessa sorte, neanche un minuto dopo, tocca a Sten che era stato catturato a Castione due giorni prima e che i tedeschi se l'erano portato dietro con lo scopo di farsi da lui indicare quali erano le case dove di solito dormivano i partigiani. (Era noto che così facessero i tedeschi coi prigionieri, se partigiani). Di tutto questo il testimone fu Ruganga. Ora nel posto dove i nostri due compagni furono uccisi, nel centro di Bazzano, c'è un piccolo monumento che li ricorda. Per il ritorno i tedeschi prendono una strada insolita, anche sconosciuta, passando per Case Notari, località in fondo ai campi, verso l'Enza, dove catturano i fratelli Icilio e Giuseppe Notari, della SAP nonché il partigiano Pastis (Fausto Burani di San Polo) che in quella casa si trovava perché convalescente per una polmonite. Per come i tedeschi si mossero, andavano a colpo sicuro, noi eravamo convinti che qualcuno li avesse informati. Il pericolo delle spie non era una novità in quei giorni.
Dopo il racconto di Ruganga decidemmo di dare la caccia al proprietario del maiale e con l'aiuto di due persone lo trovammo nella sua casa, a Scolchero, nascosto dentro uno di quei cassoni che servivano per la farina. La sera stessa, erano le 22, lo processammo e lo passammo per le armi. Tragica sorte ebbero poi i nostri compagni catturati nella mattinata. I due fratelli Notari vennero fucilati a Ciano la stessa sera del 5 gennaio.  Marco e Saetta vennero fucilati, sempre a Ciano, il 25 gennaio, mentre il figlio di Boni e Marino
Casoni furono deportati in Germania da dove, fortunatamente, fecero ritorno a guerra finita.
31 gennaio. Muore a Scurano il partigiano Renè (Jedis Rabitti) di Montecchio
Il Don Pasquino era a Scurano, esattamente nel palazzo Baroni di Sarignana. La neve era alta. Il mattino del giorno 29 il Comando della Brigata ci aveva ordinato di spostarci a Guardasone dalla cui altura ci sarebbe stato possibile controllare la valle dell'Enza sulla parte di San Polo e quella del Termina sulla parte di Traversetolo. Nella sua comunicazione il Comando ci aveva informato dell'imminenza di un rastrellamento tedesco, intenso e massiccio, che avrebbe interessato l'intero territorio di Neviano. Le notizie davano i tedeschi in diversi punti della Pedemontana pronti per convergere su Scurano. Partimmo subito e il giorno dopo eravamo a Lodrignano, fermi per un piccolo problema che chiamerei tecnico. Si trattava di questo: il nostro mitragliere Stakanoff (Celestino Rosati di Roncaglio) aveva le dita di tutti e due i piedi fuori dalle tomaie e, dato il clima e la neve alta, rischiava il congelamento. Di scarpe non ce n'era per nessuno e dovemmo attendere un calzolaio che gli riparasse gli stivali prendendo le pezze di cuoio dalla mia borsa dove custodivo i documenti del Distaccamento. Addio borsa, quindi, ma il problema era risolto e verso sera eravamo nei pressi di Bazzano.
Appena dopo Montelupo vennero due SAP per informarci che i tedeschi erano in zona e già era l'imbrunire.
E dopo poco sentimmo i primi spari.I colpi di Tac-Pum li conoscevamo bene e quando ci era dato di sentirli sapevamo che la minaccia era reale. La luna illuminava i campi e tutto era bianco a perdita d'occhio. Dalla nostra posizione riuscivamo a scorgere sui tornanti di Provazzano una colonna di tedeschi e di cavalli che saliva verso Neviano e nello stesso tempo un'altra colonna sulla nostra sinistra che scendeva verso Cedogno. Noi eravamo in mezzo e per fortuna eravamo fuori dalle due traiettorie. Eravamo in trentadue e qualcosa si doveva fare. Decidemmo così di portarci sulla collina di Ripa Pavone ma i tedeschi che scendevano verso Cedogno, favoriti dalla luna, ci avevano individuai e avevano cominciato a spararci.Ci portammo allora su Ceretolo e poi sull'ultima casa prima del ponte di Vetto da dove tentammo di guadare il fiume "rocciando" la neve. Ma appena entrati nel greto fummo di nuovo individuati dalle parti di Buvolo e dalla casa cantoniera ci arrivò addosso un fuoco impressionante. Tornammo allora indietro e strisciando per diverse centinaia di metri riuscimmo a portarci fuori dal tiro tedesco.
Credevamo di essere ormai in zona franca quando un uomo del posto che era uscito di casa per venirci ad avvertire ci disse che anche a Mediano, neanche un chilometro alle nostre spalle, c'erano i tedeschi. Ci sentivamo in trappola.
Quell'uomo ci aveva però indicato una mulattiera che portava fino a Scurano e che partiva da dietro la chiesa di Ceretolo. Era una carraia irta, raramente utilizzata, piena di neve vergine, ce n'era un mezzo metro, che per noi era l'unica possibilità di metterci in salvo.
Erano ormai le due e eravamo stanchi, bagnati, pieni di freddo e anche affamati. Prendemmo così la mulattiela e cominciammo a camminare a fatica. Passammo dietro il cimitero di Ceretolo, appena più a monte. Lì ci fu la prima crisi.
Il compagno Renè, (Jedis Rabitti di Montecchio), stanco e sfiduciato, ripeteva ossessivamente di volersi fermare perché non riusciva a resistere. Ci uccideranno tutti, diceva, e è meglio fermarsi che proseguire. Io, come comandante, lo rincuoravo con insistenza e gli tolsi persino lo zaino per farlo proseguire più leggero. È importante raggiungere Sarignana, gli dicevo, dove ci sono i nostri compagni e dove potremo stare al sicuro. E così Renè si convinse. Verso le cinque, passate altre tre
Il professor Mario Rinaldi.
"La luna illuminava i campi e tutto era bianco a perdita d'occhio. Dalla nostra posizione riuscivamo a scorgere sui tornanti di Provazzano una colonna di tedeschi e di cavalli che saliva verso Neviano e nello stesso tempo un'altra colonna sulla nostra sinistra che scendeva verso Cedogno. Noi eravamo in mezzo e per fortuna eravamo fuori dalle due traiettorie.
ore, eravamo nei pressi di Scurano e entrammo in una stalla. L'asciutto del luogo ci fu subito di gran sollievo e il proprietario ci munse del latte e ci diede qualcosa da mangiare. Passata una mezz'ora il compagno che avevo messo di guardia entrò trafelato per dirci che dall'alto, verso l'Ariolla e dalle parti di Sasso, si sentivano spari di armi tedesche. Attraversammo allora Scurano e, appena a ridosso delle ultime case che poi iniziava la salita verso l'Ariolla, notammo un gruppo di una decina di uomini vestiti di bianco che ci veniva incontro camminando speditamente. Quando quelli ci videro e credendoci, forse, una parte di quei loro camerati che erano saliti da
Cedogno, o da Ceretolo, ci lanciarono il loro segnale di convenzione che era "halloo-halloo" che però noi conoscevamo molto bene. E in base a quella nostra conoscenza aprimmo immediatamente il fuoco. La notte ancora fonda, saranno state le sei, cambiò  così i suoi connotati e a illuminarla furono le fiammelle delle armi automatiche che presero il posto della luna che a quell'ora già era tramontata.
Dall'Ariolla le raganelle tedesche si erano inserite nello scontro con un gran frastuono e con  le pallottole traccianti che noi chiamavamo "dum-dum".
Stakanoffcol suo bren, ritto in mezzo alla strada, aveva favorito lo sganciamento di tutti noi che istintivamente ci eravamo buttati nell'incavo di quel piccolo corso d'acqua che scende a lato della strada e che solo successivamente seppi che si chiamava Rio. Rispondeva al fuoco tedesco con una decisione e un coraggio da autentico eroe malgrado un proiettile gli avesse frantumato la mano destra.
Il nostro povero Renè, invece, quello che solo qualche ora prima avrebbe voluto fermarsi dietro il cimitero di Ceretolo, non era riuscito a salvarsi. Lo avevano colpito in più parti de1 corpo e era caduto senza vita al centro della strada. I tedeschi io avevano poi spinto a calci giù per la scarpata dove scorreva il Rio.
Quel piccolo corso d'acqua era stato vitale per la nostra salvezza e tutti ci eravamo sparsi lungo i suoi anfratti. In particolare ci era stata di grande aiuto una piccola cascata sotto la quale, tra l'acqua e il terreno, si era formato una specie di rifugio naturale. In quel rifugio erano rimasti per ore tre nostri compagni assistiti, quando già era giorno, da un contadino che con grande rischio, poiché i tedeschi erano ancora a Scurano, li aveva rifocillati con latte appena munto e qualcos'altro. Tra i tedeschi c'erano molti mongoli, soldati arruolati sul fronte orientale durante la campagna di Russia e poi addestrati per le azioni di rastrellamento contro i partigiani. Erano uomini famosi per ferocia e violenza e anche perché prima di ogni azione in zona partigiana venivano riempiti di grappe e di altri alcolici così da poterne ottenerne il meglio.
Le tre colonne rimasero a Scurano fino a mezzogiorno, erano circa trecento, e la piazza del paese era diventata un bivacco di cavalli, di fieno, di truppa, di nebbia e di civili fatti prigionieri. Nel pomeriggio noi del Don Pasquino ci ritrovammo tutti a Sarignana.
Mancava purtroppo Renè che ancora giaceva sulle pietre di quel Rio al quale noi tutti dovevamo la salvezza. Stakanoff, con la mano lacerata, temeva un infezione perché di medicinali non ne avevamo.
Qualche giorno dopo gente del posto venne a riferirci di aver visto i tedeschi caricare sui loro cavalli tre sacchi di iuta con dentro le salme dei tedeschi caduti. Dopo la guerra, a Scurano, nel punto dove Renè fu colpito, fu eretto a futura memoria il cippo che oggi ricorda il suo sacrificio.
                                                           Mario Rinaldi
Scrittore e storico della Resistenza, Mario Rinaldi è scomparso il 1° dicembre scorso, lasciando un profondo vuoto nella comunità e nella cultura. Nato a Neviano degli Arduini 77 anni fa, era stato per molti anni insegnante negli Istituti superiori di Reggio Emilia e di Parma e consigliere comunale a Neviano dove, per un mandato amministrativo, ha ricoperto anche l'incarico di vice sindaco. Oltre al saggio Dal Ventasso al Fuso (1988), ha scritto il romanzo Boogie Woogie (2002) sempre ambientato nel periodo della Resistenza. Nel 2008 ha curato, con Giuseppe Massari, l'antologia Vento del Nord. Aveva in fase di avanzata stesura un nuovo romanzo.
Scurano: il cippo che ricorda Renè (Jedis Rabitti) di Montecchio.
"Tra i tedeschi c'erano molti mongoli, soldati arruolati sul fronte orientale durante la campagna di Russi