GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 5 - Numero 56
AL PONTE DI LUGAGNANO CADE L'INTERO COMANDO DELLA 47° BRIGATA GARIBALDI

Un fatto unico nella storia della Resistenza italiana

di Mario Rinaldi
Gli Alleati sono a Firenze, da agosto, appena oltre l'Appennino, e i partigiani di qua, in val d'Enza, rafforzano ogni giorno di più la loro presenza con le armi e tutto il resto che gli stessi Alleati mandano dal cielo. Linverno è ormai alle porte e i tedeschi si muovono con mezzi imponenti per neutralizzare la sempre più incisiva guerriglia che alle loro spalle agisce con attacchi e sabotaggi di ogni tipo.
Rastrellamenti, quindi, e ferro e fuoco su tutto l'Appennino. È questo è il quadro dentro al quale da luglio a ottobre i nazisti compiono diverse stragi, ricordiano i 34 morti del comune di Neviano, i 560 di Sant'Anna a Stazzema in provincia di Lucca e i quasi 2.000 di Marzabotto in provincia di Bologna, per citare le più drammatiche, e poi l'attacco al Comando Unico parmense a Bosco di Corniglio dove il 17 ottobre cadono il comandante Pablo e assieme a lui Renzi e Penola, alti esponenti del Comando stesso, e con loro altri tre uomini addetti al Comando. I morti nel complesso, e in generale, sono centinaia e grave diventa la situazione per i partigiani che una nuova offensiva se l'attendono prima dell'inverno.
A metà novembre, poi, a aggravare la situazione arriva come una doccia fredda il proclama del generale Alexander, comandante inglese delle operazioni Alleate in Italia, che in un messaggio diffuso da radio Londra dice ai partigiani di tornare alle loro case perché l'offensiva verso il nord, e quindi l'invasione della pianura padana, che lui stesso aveva annunciata qualche settimana prima, era stara rimandata a primavera.
E dice che al momento opportuno, cioè a primavera, i partigiani saranno richiamati per il colpo finale.
A quel punto è chiaro che ogni forma di assistenza, cioè i lanci, sarebbe venuta a mancare a quelle Formazioni che non avessero aderito all'invito, meglio dire alla disposizione, e risulta anche chiaro che gli Alleati sono ormai restii a mandare nuove armi e qualsiasi altra cosa alle formazioni garibaldine che, secondo loro, sono il braccio armato del Partito comunista.
Ormai la fine della guerra è vicina, certa è la vittoria, e già si profila anche nei dettagli quella che in Europa sarà la guerra fredda con tutte le implicazioni che nell'ormai prossimo mese di febbraio verranno sottoscritte nella conferenza di Yalta dalle potenze vincitrici.
Il Proclama viene così a tagliare quel collegamento che fin dal mese di marzo era stato la base stessa della presenza partigiana in montagna, anche quella politica, basti pensare all'insediamento delle amministrazioni democratiche a Neviano degli Arduini e a Palanzano con la conseguente stabilizzazione dei buoni rapporti con le popolazioni dell'intera valle.
Esso, al contrario, porta la situazione a essere quella che era otto mesi prima quando le nascenti bande dovevano muoversi nella totale sconoscenza del territorio, con l'ostilità delle popolazioni e senza nessuna organizzazione militare.
E la variante più evidente è che otto mesi prima davanti alle bande c'erano la primavera e tutta l'estate mentre a novembre, quel novembre, davanti alla Brigata c'erano uno scorcio d'autunno e tutto l'inverno.
E in quel drammatico contesto il fatto dell'assistenza "che verrà a mancare" vuol dire ai disobbedienti (Luigi Longo dalla Lombardia aveva respinto il Proclama per conto delle brigate Garibaldi), "dovrete arrangiarvi come potrete, con le armi che avete e senza la speranza di averne delle nuove" e questo vuol anche dire nelle formazioni garibaldine la percezione di un abbandono.
Passano tre giorni, il Proclama è di venerdì l7 novembre, e l'intero territorio della Val d'Enza, quello parmense e quello reggiano, viene investito da quel terribile rastrellamento che al Ponte di Lugagnano costerà la vita all'intero comando della 47° brigata Garibaldi.
Già quello di luglio era stato un rastrellamento imponente il cui intento era però quello di impedire l'insorgenza partigiana, preventivo si potrebbe definire, e il fare terra bruciata era l'unica strategia che i nazisti sapessero mettere in atto, e anche che conoscessero, e per questo a essere colpite furono le popolazioni civili, mentre a novembre l'obiettivo erano le Brigate, ormai considerate un vero esercito, da annientare prima dell'inverno.
Qualcuno al tempo pensò che a scatenare i nazisti potesse essere stato il Proclama di Alexander ma questa ipotesi non trovò credito nella razionalità dei fatti perché un'operazione di quel tipo, con tutti quei mezzi e così meticolosamenre preparata, nessuna potenza al mondo sarebbe stata capace di organizzarla in soli tre giorni.
Anzi, a ben vedere il rastrellamento trova la sua continuità, e la sua logica, nelle già citate operazioni dei mesi precedenti.

IL FATTO

È lunedì e i tedeschi e i fascisti, un'intera divisione, tendono a spingere i partigiani nella zona del monte Caio. I punti di partenza sono Corniglio, Tizzano, Palanzano e Monchio. La 42° Garibaldi e le due Giustizia e Libertà, la 4° e la 4° bis, che op?rano nelle valli dell'Enza e del Parma, devono essere prima di tutto accerchiate e poi annientate. Questo è l'obiettivo. Loperazione è vasta, militarmente efficace, e non affrontabile dai partigiani il cui armamento non è in nessun modo adatto per opporsi a un esercito che dispone invece di cannoni, di autoblindo, di mortai e di armi pesanti di tutti i tipi. Anche di aerei.
Nello specifico, riguardo alla dinamica e alle ore che hanno preceduto l'agguato di Lugagnano, sono oggi più che mai illuminanti le testimonianze di Ennio Fontechiari e di Annetta Ronzoni rilasciate subito dopo il fatto e confermate in più occasioni fin dal tempo della Liberazione. Ennio Fontechiari, residente a Palanzano, dipendente della C.E.L.I dice: "Con il collega di lavoro Natale Briselli di Rarniseto ci eravamo accordati di segnalalci reciprocamente qualsiasi presenza, o movimento, di truppe tedesche nelle nostre zone. Per le segnalazioni avremmo usato il telefono di servizio.

Il mattino del 20 novembre, circa alle 5, Briselli con voce concitata m'informa che un grosso reparto tedesco si sta muovendo verso il parmense dalla Sparavalle.
Di corsa mi reco al comando della 47°, a Ranzano, dove trovo Raffaello, Ivan e Franci. I tre comandanti nascondono nel fienile di Augusto Begani, che era il proprietario della casa dove c'era il Comando, tutto il materiale che c'era sul tavolo.
Si trattava di documenti e altre cose. In mia presenza Ivan incarica Tom di andare a Selvanizza per accertare la situazione.
Dopo un'ora Tom torna: i tedeschi sono in zona, dice. Di lì a poco si sentono i primi spari più in alto, dov'era il Distaccamento Menconi, e Ivan, dopo un breve scambio di opinioni con Raffaello e Franci, parte per Selvanizza.
Che Ivan abbia raggiunto Selvanizza lo conferma Vezio (comandante del distaccamento Menconi) che nel suo rapporto del 25 novembre scrive: "il fuoco violento di mitragliatrici pesanti, aperto contro di noi dalla costa di Taviano, mi costringe a ripiegare in direzione di Palanzano, presente Ivan, il comandante della Brigata".
E Pilade nel suo rappol to del 27 novembre scrive: "La sera del l9 i tedeschi operano una energica puntata su Corniglio con obiettivo Monchio delle Corti. La mattina seguente il fronte delle operazioni si allarga alla zona reggiana dove forti contingenti tedeschi, forzato il dispositivo della 32° brigataGaribaldi reggiana, irrompono nella piana di Selvanizza con colonne su Palanzano, Pratopiano e Lalatta per costringere le forze partigiane a raccogliersi sul monte Caio".
E ancora Fontechiari: "Sebbene quel mattino fossi in continuo collegamento con i colleghi delle centrali di Lagrimone, Monchio,Tiefiumi, Rimagna e Rigoso non ricevo nessuna segnalazione di presenze tedesche in quelle zone. Decido allora di recarmi a Isola, in centrale, per il mio turno di lavoro, dove trovo parcheggiata la fiat 1100 del comando di Brigata. E lì ritrovo Ivan, Franci e Raffaello. Giuseppe Zucchellini, capo centrale, padre di Ivan e proprietario della vettura, consiglia di allontanare la vettura. Verso le 11 arriva Celso, l'autista della brigata, che prende la macchina e scende verso Palanzano. Poi ritorna. A quel punto, sono le 15, i tedeschi sono a Palanzano e Ivan decide di andare verso Monchio. Saluta il padre e la fidanzata, s'infila nella macchina assieme a Celso, Franci, Raffaello, la Tita e l'Anna e parte. La notizia che ci arriva poco dopo è agghiacciante".
A questo punto, il racconto passa a Anna Ronzoni, di Ciano d'Enza, staffetta, moglie del partigiano Spada e madre di due figli.
"Il giorno 20 novembre sono a Isola in casa di Martino Ponticelli. Con me c'è la Tita, la fidanzata di William (vice comandante della Brigata), che è al settimo mese di gravidanza. Verso le 15 arriva inaspettatamente Ivan che ci invita a seguirlo. Dice che i tedeschi stanno per arrivare da Palanzano. Piovigginava. Sulla macchina oltre a me ci sono Raffaello e Franci. La Tita prende posto davanti fra Celso e Ivan mentre io mi sistemo dietro tra Raffaello e Franci. Sono piena di paura, voglio scendere, ma i compagni mi rassicurano. Così si va avanti fino al luogo fatale. Vedo solo un camioncino lungo la strada, era dei partigiani, abbandonato sul ciglio. Poi c'è la curva che immette nell'abitato del Ponte e dietro la curva ci attende l'agguato. I tedeschi ce li vediamo di fronte con due mitragliatori piazzati e impossibile è ogni nostra reazione. Ivan fa appena il tempo a portarsi le mani nei capelli mentre Franci urla a Celso di bloccare la macchina. A quel punto i tedeschi aprono il fuoco. I vetri si frantumano in migliaia di pezzi e i miei compagni si riversano senza vita l'uno sull'altro. Solo io sono incolume. Resto ferma un paio di minuti, sento addosso il sangue di Franci che mi
scende sul petto e solo Dio sa quello che provo. Poi s'avvicina un tedesco graduato e con la pistola spara un colpo alla nuca di ognuno dei cinque compagni. E io sono fatta prigioniera. Intanto arrivano altri due militari. Uno di loro estrae i cinque corpi dalla macchina e li allinea sul ciglio della strada. L'altro, che lo aiuta, quando vede agitarsi il grembo dellaTita ha una reazione d'orrore. Mamma mia, dice, questo non buono. Poi con gli occhi umidi le posa una mano sul grembo e la ritrae solo quando sente che il bambino non si muove più".
In quello stesso giorno, poco distanti da Lugagnano, cadevano i partigiani Rubens Guatelli e Ottavio Ricci della 4° Giustizia e Libertà così come in altre parti di partigiani ne cadevano tanti altri e tra quelli i quattro fratelli Bernini in val Baganza.
Passati tre giorni Ivan e la Tita vengono tumulati negli avelli del cimitero di Zibana, vicino a Palanzano, mentre Franci, Raffaello e Celso sono tumulati a Cozzanello, nel comune di Monchio, anche loro negli avelli.
Imponente e commossa fu la partecipazione dei montanari. Passati altri tre giorni, tutto era ormai tornato calmo, Raffaello e Celso sono portati a Ceretolo e a Mediano, nella val d'Enza nevianese, i paesi delle loro famiglie, mentre Franci è tumulato a Neviano dove c'era la famiglia di sua zia e lì resterà fino alla Liberazione (il trasporto delle tre bare fu fatto con due brossi tirati da vacche che le SAP di Palanzano e Monchio avevano messo a disposizione della Brigata).
Ivan e laTita vengono invece lasciati nel cimitero di Zibana fino alla fine della guerra. Appena sedici giorni dopo, il 6 dicembre, nella canonica di Lupazzano, la Quarantasettesima ricostituisce il proprio comando che così risulta composto: comandante William (Massimiliano Villa, già vicecomandante), vice comandante Max (Guido Bertolotti), capo di stato maggiore Bevilacqua (Italo Bocchi ) e commissario politico Ilio, (Luigi Cortese) riconfermato. Delle due brigate Giustizia e Libertà, invece, che a seguito del Proclama di Alexander si erano sciolte, rimangono in zona solo alcuni gruppi "facenti per conto loro" chiamati Brigata Paolo e Brigata Otto e che a gennaio per disposizione della Delegazione Est Cisa del Comando Unico diventeranno il primo la 3° Brigata Julia e il secondo la Brigata Pablo.

Sopra: Ubaldo Bertoli, Nazisti in rastrellamento, 1972.
"E la variante più evidente è che otto mesi prima davanti alle bande c'erano la primavera e tutta l'estate mentre a novembre, quel novembre, davanti alla Brigata c'erano uno scorcio d'autunno e tutto l'inverno".
Le vittime sono il comandante Ivan (Aldo Zucchellini - Medaglia d'argento al Valor Militare), il Capo di Stato Maggiore Raffaello (Remo Cohen - Medaglia d'argento al Valor Militare), il vice commissario Franci (Brunetto Ferrari - Medaglia d'argento al Valor Mìlitare), la staffetta Tita (Ave Melioli di Bibbiano) e Celso (Ciorgio Lambertini), l'autista della Brigata.

"A quel punto i tedeschí aprono il fuoco, I vetri si frantumano ín migliaia di pezzi e i miei compagni si riversano senza víta l'uno sull'altro. Solo io sono íncolume. Resta ferma un paio di minuti, sento addosso il sangue di Franci che mi scende sul petto e solo Dio sa quello che provo".
Franci (Bruno Ferrari), medico.Ritratto di Ubaldo Bertoli, 1944.
Pablo (Ciacomo Crollallanza) medaglia d'oro al Valor Militare di Parma
Renzi (Luigi Menconi) medaglia d'oro al Valor Militare di Carrara
Penola (Ciuseppe Picedi Benettini) medaglia d'oro al Valor Militare di Sarzana
Annetta (Anna Ronzoni) di Ciano d'Enza
Vezio (Angelo Campanini) di Parma
Pilade (Pilade Cremonesini) di Parma
Celso (Ciorgio Lambertini) di Mediano.