GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 5 - Numero 54
GUERRA PARTIGIANA IN VAL D'ENZA
di Mario Rinaldi
Nel Febbraio-marzo 1944 la valle dell'Enza, quella reggiana e quella parmense, si popola di gruppi di giovani che i bandi della Repubblica di Salò e i martellanti bollettini della radio fascista definiscono banditi e traditori. Sono i giovani delle classi 1924 -1925 che chiamati alle armi si rifiutano di entrare nell'esercito di Salò, alleato dei tedeschi che fin dal settembre 1943 occupano l'ltalia da Roma in su.
In montagna, a guidarli, sono i vecchi oppositori del fascismo, diciamo i perseguitati del ventennio, e a organizzarli sono il Partito Comunista, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Liberale e il Partito d'Azione. Quei giovani si uniscono in tante piccole formazioni chiamate distaccamenti e danno in tal modo corso a quella che oggi è chiamata la prima fase della guerra partigiana.
Quello che segue è il racconto di William che ci narra come nacque il distaccamento Don Pasquino, fu lui il primo a comandarlo, che a luglio del '44, dopo accordi superiori a livello provinciale, verrà trasferito nel parmense a far parte della 47a Brigata Garibaldi. Di quella Brigata William sarà prima il vice comandante e poi il comandante.
(...) "Dovrai andare a Cola da Franceschini" "Chi è Franceschini?". Era la prima volta che sentivo quel nome. "È il calzolaio" fu la risposta. Seppi in quel modo che il calzolaio di Cola aveva un nome e il giorno dopo il calzolaio mi accolse con un abbraccio. "Ho delle grosse notizie" mi disse . "Saranno una ventina, tutti armati". "Ho fame" fu la mia risposta. Rimasi alcuni giorni. Erano gli ultimi di febbraio. Una sera camminai fino aCazzola. Dovevo vedere un tizio per mandarlo a Ramiseto a dire a Prospero di venire da me. E dopo due giorni Prospero venne. "Devi avvertire Baisi che presto sarò da lui" gli dissi. Il giorno dopo andai a Vetto perché mi avevano detto che in quei giorni c'era in paese un gran movimento di militi fascisti che tenevano d'occhio il ponte sull'Enza. Bussai alla porta di Bruno, il falegname, che mi disse "niente di straordinario, ogni tanto arrivano ma poi vanno". Bruno considerava quel movimento molto normale. Da lui feci la notte e il mattino presto ripassai da Cola. Dovevo avvertire il calzolaio che andavo a Campolungo e anche a Pineto. Gli spostamenti continui da un paese all'altro mi davano sicurezza. Le notizie di arresti, di condanne e di fucilazioni non ammettevano imprudenze, tantomeno leggerezze.
(...) Passai quasi tutto quel periodo tra Vetto, Cola, Vedriano e tutti i casolari della zona.
Ovunque trovavo appoggi. Ormai i contadini mi conoscevano. Uno di quei giorni andai a Vedriano perchè Prato mi aveva mandato a dire di andarlo a trovare. Doveva parlarmi di quella ventina di volontari che sarebbero arrivati da Reggio. "Partiranno da San Polo" mi disse. La partenza sarebbe stata il giorno dopo e il punto d'arrivo era le Case Ferrari, una località non molto distante da Gombio. "Tu dormirai a casa di Giuseppe che tutti conoscono come il falegname e dirai solo che ti chiami William. Lui sa chi sei e conosce i motivi della tua presenza. E 1ì arriveranno i ragazzi. Non dimenticarti poi che dopodomani dovrai andare a Spigone dove di uomini ne troverai degl'altri".
Il pomeriggio del giorno dopo m'incamminai per Combio. Il cielo era nuvoloso e soffîava un vento gelido. Dopo mezz'ora, prima ancora d'arrivare all'imbocco del sentiero che porta alle Case Ferrari cominciò a nevicare. Camminai tranquillo per un bel pezzo. Cominciavo però a essere preoccuparo. La neve aumentava e i miei passi diventavano pesanti. Arrivato alla mulattiera la percorsi fino a un certo bivio e là cominciai a salire una stradina dalla cui sommità avrei dovuto scorgere le Case Ferrari. Ma una volta in cima non vidi niente. La visibilità era diventata talmente scarsa che non riuscivo a orientarmi. Pensavo anche di aver sbagliato strada e che avrei dovuto tornare al bivio per rifare tutto da capo. Continuai così a camminare fino a quando non mi parve d'essere arrivato.
Da quel punto dov'ero non riuscivo però a scorgere neanche un minimo segno che fosse diverso da tutto il biancore che avevo attorno. Ero disorientato e anche avevo paura perché non mi era mai capitato di perdere in quel modo il senso dell'orientamento. Per foltuna non era tardi. Lorologio segnava le sette e mezzo. Decisi allora di proseguire e camminai ancora per mezz'ora. Mi muovevo a passi lenti fino a quando non vidi una luce che pareva un miraggio ma che però era vera.
Così mi avvicinai e quando le fui a ridosso ebbi la conferma d'essere arrivato. Le case erano due e io bussai a quella più piccola. Mi aprì una donna. "Sono William" dissi. "Mio marito non c'è, è andato a Castelnuovo". Le dissi dell'appuntamento ma lei non ne sapeva niente. "Non le ha detto di me?" le chiesi. "Buonanotte" mi rispose e mi spinse fuori dalla porta. "Signora, io non so dove andare. Non posso rornare indietro". "Cosa ci posso fare io. Non pretenderà che la tenga in casa mia. Ci mancherebbe altro". "M'accontento della stalla" le dissi, ma lei rispose che non aveva stalla. Io mi chiedevo cosa poteva essere successo e cosa non aveva funzionato. Non mi rimaneva che bussare alla casa di fronte. "Cosa vuole ?" mi chiese la donna che mi aveva aperto. "Sono di passaggio e con questo rempo non posso proseguire il mio viaggio. Le chiedo di passare la notte nella stalla". La donna mi guardava come se non avesse capito ma poi mi disse "venga avanti". "Dovevo vedermi con Peppino" le dissi "quello che abita di fronte, ma non è in casa e sua moglie dice di non conoscermi".
La stanza dove entrai era molto normale. C'erano mobili scuri e le pareti annerite. La luce era un lume a petrolio. A illuminare di più era la fiamma del grande camino con due enormi tronchi che bruciavano. Seduti al tavolo c'erano un uomo anziano, una donna giovane, una ragazza e in disparte due uomini sui trent'anni, tutti e due biondi che sembravano eleganti. Certamente non erano contadini. Non dicevano niente e di tanto in tanto puntavano occhiate su di me. Passarono alcuni minuti prima che l'uomo anziano mi dicesse di togliermi il cappotto.
"Lo mettiamo vicino al fuoco" disse e anche disse alla moglie di preparare un altro piatto. Ringraziai ma non mi sfuggiva il clima di sospetto. Poi il vecchio mi chiese da dove venivo. "Sono di Reggio" dissi "ma mi trovavo a Ciano a casa di parenti". E così raccontai la storia della neve e del mio appuntamento con Peppino. E la moglie mi chiese se ero sposato. A quel punto uno dei due signori in disparte si alzò e chiese al figlio del vecchio di uscire con lui. Mi sedetti vicino al fuoco e mi tolsi le scarpe. Avevo i piedi freddi. "Faccia i suoi comodi" disse il vecchio. Dopo alcuni minuti il giovane e il forestiero rientrarono. Il giovane si avvicinò al padre e gli parlò in un orecchio. Il padre si alzò e uscì con lui. Io mi sentivo estraneo e fissavo la porra d'ingresso. Ormai mi era chiaro che la mia presenza turbava qualcosa. Pensavo al mistero del falegname e cominciavo a pensare come mi sarei difeso se le cose si fossero messe male. Avevo una pistola. Passarono diversi minuti e il vecchio rientrò col figlio. In quel momento uno dei due forestieri mi si parò davanti e mi guardava fisso.
"Di tutte le storie che ci ha raccontato neanche una ne abbiamo creduta. Lei è un impostore. Ce lo ha confermaro la moglie del falegname caro signor William. Lei ha sbagliato indirizzo". Il mio nome glielo aveva detto la moglie del Falegname. Il forestiero parlava deciso e gli altri lo ascoltavano. "Non si parte da Ciano in bicicletta per venire tutto d'un fiato fin quassù, con questo tempo". "Io vi assicuro che se sono venuto è perché avevo bisogno di vedere Peppino e se non era per la neve sarei già tornato a casa". Il padre e il figlio si guardavano in faccia. Non gradivano che quel forestiero si comportasse da padrone. E il vecchio mi parlò. "Io non ho la pretesa di sapere i suoi affari ma lei si trova qui e io ho il diritto di sapere a chi ho aperto la porta di casa mia". "Vi posso assicurare che. . . " ma non riuscii a finire la frase che il forestiero mi si parò davanti urlando. "Non mi confonde, caro signore, lei si sbaglia se crede d'incantarmi. Lei si è mosso per altre ragioni. Lei è qui per noi due". "Non so chi voi siete e non voglio saperlo. Si metta tranquillo e stia calmo" gli dissi. Il cipiglio di quell'uomo non ammerteva dubbi. "Lei si chiama veramente William?" mi chiese. Lo guardai per dirgli che era così. "Allora mi faccia vedere i documenti". Gli altri erano d'accordo. Io non sapevo cosa dire. Di documenti non ne avevo. "Con quale autorità lei mi chiede i documenti?". "Non cerchi di fare il furbo. Noi vogliamo sapere chi lei è e cosa lei rappresenta qui". "I documenti li ho dimenticari a casa col portafoglio" gli dissi "e questa è la verità". "Sei armato?". Ormai mi dava del tu. "Un galantuomo non ha bisogno di andare armato". "Vediamo se è vero". E cominciò a perquisirmi. La rivoltella la tenevo dove non sarebbe stato facile trovarla. Era dietro la schiena, all'altezza della cintura. La posizione era ottima se avessi voluto usarla e con la coda dell'occhio guardavo l'altro forestiero che aveva una mano in tasca. Non era difficile pensare cosa tenesse nella mano. (...) Intanto erano arrivate le dieci. "È l'ora di andare a dormire" disse il contadino, e alla moglie disse di darmi una coperta. "Lei dormirà nella stalla, non ho altro posto". Il figlio mi accompagnò. Anche il forestiero venne con noi. Non nevicava più e questo era importante.
La marcia dei compagni che dovevano arrivare l'indomani sarebbe stata così facilitata. Nella stalla, in un angolo, c'era un piccolo spazio vicino alle bestie e appeso a una trave pendeva un lume a petrolio. Il contadino buttò due forcate di paglia contro il muro e mentre io ero chinato per prepararmi il giaciglio sentii che la porta si chiudeva dall'esterno. Niente da fare. La porta era robusta
e anche ben chiusa. E così mi coricai convinto che davanti avevo il peggio. Ripensavo che circa un mese prima, passando da Vedriano, ero stato consigliato di non fermarmi in quel paese perché lì c'erano due fanatici fascisti che tutti temevano e mi era logico supporre che i due forestieri potessero essere quei due tipacci. E anche che il falegname, pensavo, potreva essere caduto nella trappola. Domattina mi metteranno le manette, mi dicevo, e mi condurranno a Castelnuovo e poi a Reggio. E via da capo come negli anni passati. Per farmi coraggio pensavo a quella squadra di ragazzi che doveva arrivare e mi confortava il fatto di avere una rivoltella. Era ormai mezzanotte quando venni sorpreso da un fruscio accanto alla porta. Era il rumore del catenaccio che si sfilava da fuori e un attimo dopo fui investito da una folata d'aria gelida. I due forestieri stavano venendo da me. Uno di loro mi diede un calcio per svegliarmi siccome credeva che dormissi. "Cosa volete?". "Alzati". Quell'uomo reneva in mano una pistola e qu?esto sconvolgeva i miei piani. "Ora che siamo soli mi devi dire chi sei e cosa sei venuto a fare fin quassù". "Sono pronto a dirvi tutto ma toglietemi quella pistola da sotto il naso". Io m'ero messo a sedere ma la mano destra la tenevo sotro la coperta e con le dita sentivo il calcio della pistola. O agisco adesso, mi dissi, o inai più. Si trattava di fare un balzo. Gettai in aria la coperta e mi alzai di scatto con la pistola puntata contro i due forestieri. "Alzate le mani o vi ammazzo" urlavo. Sarebbe bastato un piccolo gesto che avrei spararo. I due forestieri alzarono le mani. "lnginocchiatevi adesso, con la faccia contro il muro". I due ubbidirono. "Ora le domande le faccio io. Chi siete voi e da dove venite" "Lei sa benissimo chi siamo e da dove veniamo. Ci dica piuttosto cosa intende fare a noi e alla famiglia del contadino". Quel discorso mi lasciava perplesso. Mi sorgeva il dubbio che quei due mi considerassero un poliziotto fascista. Finsi di non capire. Messo alle strette il forestiero allargò le braccia. Era un gesto di rassegnazione. "Siamo tinglesi e siamo fuggiti da un campo di concentramento. Il contadino non ha nessuna colpa". "Prima m'avere detto che ci si può fidare solo dei documenti" dissi io "e adesso fatemi vedere i vostri". Il forestiero tirò fuori una ressera dalla camicia. Io non sapevo leggere l'inglese ma la fotografia era sua. Aveva la divisa da ufficiale. "Perché il suo compagno non parla mai?". "Non conosce la vostra lingua mentre io la conosco perché ho studiato in Italia. Feci un sorriso. "Adesso cosa succede?" mi chiese. "Quando vi avrò detto chi sono io potrete anche sorridere". E appena ebbi finito di raccontare chi io ero il forestiero disse sia lodato il cielo. Erano ormai le due, rientrammo nella cucina e ci sistemammo vicino al fuoco dopo averlo un poco attizzaro. Adesso che quell'uomo sapeva chi io fossi non la smetteva più di farmi domande. Voleva sapere tante cose ma io mi addormentai per la stanchezza e all'alba fu lui a svegliarmi. "Fuori ci sono dei giovani che chiedono di lei. Sono nel cortile".
Linglese era allegro, anche espansivo, e assieme andammo a incontrarli. "Sei William tu?" mi chiese uno di loro. "Sì io sono William" riposi e lui di rimando disse "Tu sarai il nostro comandante". In poco tempo s'era sparsa la voce che un gruppo di partigiani era arrivaro a Case Ferrari e dalle case sparse in diversi si avvicinarono per vederci da vicino. Verso mezzogiorno si presentò il problema del primo pasto collettivo. Non era facile mangiare in una ventina di uomini ma ognuno fece la sua parte. Le due famiglie di Case Ferrari ci diedero un po' di pane, qualche uovo e un po' di latte e dalle case vicine ci portarono altra roba. E tutti potemmo mangiare. Partimmo per Spigone quando cominciava a fare notte.
Coi due inglesi ci salutammo. "A noi spiace di non venire con voi" mi dissero. "Noi vogliamo tornare coi nostri, oltre le linee". Non ebbi pù l'occasione di vederli né di sapere quale sia stata la loro sorte. A Spigone arrivammo quasi puntuali. C'erano Prato, il calzolaio di Cola e un altro che non conoscevo. "Si chiama Gallo" mi disse Prato. "Sarà il vostro Commissario", e io lo presentai a tutto il Distaccamento. Ora eravamo completi. Mancava solo il nome.
Non potevamo rimanere una banda di senza nome. In quei giorni era molto viva l'emozione per la morte di Don Pasquino Borghi, il parroco di Taignola, fucilato il 30 gennaio a Reggio dai fascisti. Per questo chiesi ai compagni di dare il suo nome al nostro Distaccamento e tutti furono d'accordo.
Fu così che nell'ultima settimana di febbraio del 1944 nacque a Spigone il Distaccamento Don Pasquino.
ln allo: Cruppo di partigiani
del pittore Ubaldo Bertoli.
Questo racconto autobiografico è tratto da Dal Ventasso al Fuso - guerra partigiana nelle Valli dell'Enza e del Parma di Massimiliano Villa e Mario Rinaldi, edito da Battei, a Parma, nel 1988.
Il pomeriggio del giorno dopo m'incammi-nai per Combio. Il cielo era nuvoloso e soffiava un vento gelido. Dopo mezz'ora, prima ancora d'arrivare all'imbocco del sentiero che porta alle Case Ferrari cominciò a nevicare.
Will iam (Massimilìano Villa)
il comandante del Don
Pasqui no.
Prospero: Prospero Bassi di
Ramiseto
Baisi: Attilio Baisi di Ramiseto
Prato: Aristide Papazzi di Ciano
Callo: Renato Beltrami di
Reggio Emilia
Don Pasquino (Don Pasquino
Borghi, parroco di Tapignola),
Medaglia d'oro alValor
Militare.
William (Massimilìano Villa) -
classe 1909 - di Reggio Emilia,
operaio alle Reggiane, uscito
dal carcere nel 1 943 subito
dopo la caduta del fascismo.
ln carcere aveva scontato sei dei nove anni (era un "sovversivo") che un Tribunale
Speciale gli aveva comminato
nel 1937.
Gallo (Renato Beltrami) cìasse
1 908, operaio, di Reggio
Emilìa. Era uscito dal carcere
nel 1 943 dove aveva scontato
cinque dei nove anni che un
Tribunale Speciale gli aveva
comminato nel 1938 in quanto
"sovversivo".
Ora eravamo completi. Mancava solo il nome.