GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 5 - Numero 52
LUGLIO 1944:
IL GRANDE RASTRELLAMENTO NAZIFASCISTA IN VAL D'ENZA
Un dramma ancora vivo nella memoria della comunità locale
di Mario Rinaldi
Nella parte parmense i civili trucidati furono 34 a Neviano, 22 a Monchio e 15 a Palanzano.
'I1 sergente dava gli ordini con gesti essenziali, i soldati dovevano perquisire la stanza. Aprivano i cassetti e anche gli sportelli della stufa. Cercavano armi. Tutto si svolgeva in silenzio. Il sole eccitava le cicale e sul secco degli strami ballava la vecchia. Il padrone di casa lo avevano messo in un angolo con le mani alzate (. .. ) e la piazzetta aveva cominciato a riempirsi di uomini che arrivavano da ogni parte, sparsi e spaventati. Tenevano tutti la carta d'identità bene in vista e di tanto in tanto un militare li controllava" (. . .).
"E’ un ragazzo, è un ragazzo" gridava una donna da una finestra. Davanti al muro, sentendo quel grido, qualcuno si era voltato ma subito un rigido fendente lo aveva sorpreso con durezza. Una botta col fucile lo aveva colpito sul torace e la carta d'identità gli s'era sfarfallata lontana, su una delle tante teste che aveva attorno. Poi ancora dai campi avevano cominciato a arrivare rumori di spari e a salire inquiete colonne di fomo nero. Brucia la casa del tale, dicevano, anche quell'altra. A quel punto i soldati parlavano forte, Parole dure e incomprensibili. E la strada pareva scoppiare di mandrie che arrivavano a branchi e che muggivano assetate>.
Così in Boogie Woogie (Diabasis editore), Mario Rinaldi descrive l'inizio del rastrellamento a Neviano degli Arduini.
E ancora: ( ... ) la sera prima, quando erano arrivati, i tedeschi erano stati allegri e avevano permesso a quelli che lo desideravano di guardare da vicino ogni loro cosa. I camion innanzi tutto, che erano scuri come il muschio nei boschi e puliti come le pentole di casa. C'era fin stata gentilezza (, . .) e i ragazzi s'erano imparati i nomi di quasi tutti i soldati che si chiamavano Franz, Henrik, Lotar, Martin, Mark, Helmut e così via. (. . .) Poi era arrivata la notte. Faceva caldo il mattino del giorno dopo e quando il sole batteva a picco sui cortili quegli stessi soldati s'erano messi l'elmetto e tutto si era rapidamente cambiato. Niente più gentilezze e niente più sorrisi. Per i ragazzi era scoppiata la guerra.
Il 4 giugno 1944 gli Alleati, salendo da sud, liberano Roma e due giorni dopo sbarcano in Normandia. L’Armata rossa, avanzando da est, è in Polonia e in Romania, dopo aver sfondato a Stalingrado.
Per i tedeschi, che viva hanno l'esperienza della Grecia e della Jugoslavia, e si sentono chiusi in una morsa, è inevitabile il pensare che in Italia, a ridosso della linea Gotica e quindi anche sull'Appennino emiliano, si possa organizzare un esercito partigiano, armato e sostenuto dagli Alleati, dal quale poter essere attaccati durante l'autunno e più ancora nei mesi dell'inverno.
Rastrellamenti, quindi, e terra bruciata, come in agosto faranno a Sant'Anna in provincia di Lucca e in ottobre a Marzabotto, in provincia di Bologna.
Nella val d'Enza parmense fin dal mese di marzo agivano alcune bande partigiane che avevano disarmato i carabinieri di Neviano, Traversetolo, Palanzano e Monchio e che a Traversetolo, per puro caso, avevano catturato un importante ufficiale del comando di Kesserling, poi scambiato con diciannove prigionieri prelevati nelle carceri di Reggio Emilia e di Parma.
Quelle bande, erano quattro, cui a maggio si aggiungerà il Don Pasquino, un distaccamento di tutti reggiani, diventeranno da lì a poco la 47' Brigata Garibaldi con compiti di pieni poteri su tutta la val d'Enza (quella parmense) da Traversetolo fino a Monchio delle Corti.
A proposito va detto che quel centinaio di partigiani non erano per i tedeschi una gran cosa se messi a confronto con la forza del loro esercito, potevano solo essere il leggero fastidio di una pulce, ma che un pericolo lo sarebbero diventati se da lì in avanti, superati i fastidi e gl'ingombri che si portavano dietro (i fastidi e gl'ingombri erano le insofferenze della popolazione), la loro forza si fosse saldata con le famiglie dei montanari e quindi con la difesa dei loro interessi.
E l'obiettivo del rastrellamento, il vero, è quello di fare della montagna una terra bruciata in modo che quella saldatura non potesse mettere radici.Di veri scontri tra tedeschi e partigiani non ce ne furono in quei cinque giorni, se si escludono quello del Lagastrello e l'altro sotto la Pieve di Sasso, a la Fornace.
I partigiani erano poco armati, anche privi d'esperienza, e quel che potevano fare era solo il muoversi secondo la logica della guerriglia che prevedeva il nascondersi se attaccati e l'attaccare quando l'opportunità lo consentiva.
Dall' l al 5 luglio, giornate torride coi campi di grano che nessuno riusciva a mietere, a essere messe a ferro e fuoco furono quindi le popolazioni civili. In ogni civile può nascondersi un partigiano, dicevano i tedeschi, e a operazioni terminate i morti si contarono a decine, 34 a Neviano, 22 a Monchio e 13 a Palanzano, e ingenti furono i danni all'agricoltura con le stalle svuotate e i fienili bruciati.
I paesi di Rusino e Moragnano, nel comune di Tizzano, furono dati alle fiamme e nei vari villaggi della vallata le case incendiate furono tante. Oggi, a 68 anni di distanza, nella gente della val d'Enza il rastrellamento "di luglio" (ancora i montanari lo chiamano così) continua a essere un ricordo incancellabile perché a occuparsene di più, negli anni, a tenerne viva la memoria, non è stata la storia (per la storia un rastrellamento è una insignificante pagliuzza) ma è stata la letteratura, ovvero quel libero modo di raccontare che da sempre ha grande rilievo nella formazione delle coscienze. È bene averlo presente, questo, perché se oggi i giovani studenti conoscono la discesa dei Lanzichenecchi nel 1648 (erano tedeschi anche loro), che fecero terra bruciata in buona parte della Lombardia, a Mantova in particolare, e che poi si diressero verso sud, lo devono non agli storici ma ad Alessandro Manzoni che quella vicenda l'ha raccontata nei I Promessi sposi, e la stessa cosa vale per la grande peste del 1328 raccontata da Giovanni Boccaccio nel Decamerone. E vale anche per tante altre tragedie dell'ultima guerra che a raccontarle sono stati Primo Levi, per fare un esempio, ma anche Mario Rigoni Stern, Giulio Bedeschi, e altri ancora.
Da noi, in val d'Enza, questo merito va a Ubaldo Bertoli, partigiano di nome Gino, anche pittore, che con grande efficacia ha così descritto il rastrellamento nel suo La Quarantasettesima (Einaudi editore):
(…) Due settimane dopo i tedeschi lasciarono le autoblindo lungo la strada, passarono il greto del torrente a monte del ponte rotto e s'imbatterono in due vecchi contadini, alle prime case di Provazzano. I due vecchi fecero un timido saluto con la testa. Il sergente che guidava l'avanguardia della colonna sorrise e loro videro i soldati inoltrarsi tra le case, prima lentamente, come cercassero acqua da bere, poi, a un urlo del sergente, saltare da un muro all'altro. I due vecchi udirono gli spari tagliare secchi l'aria estiva, poi le grida delle donne dentro le case e quando cercarono di capire cosa stava accadendo un tedesco fu dietro di loro ed essi prima di cadere si guardarono e insieme sentirono sulla schiena la stessa cosa vasta e rovente, come una frustata di ferro. Era la mattina del due luglio e dalla pedemontana alle pendici del Sillara, lungo le vallate dell'Enza e del Cedra, sulle colline, dentro le gole delle montagne e sui crinali, la zona presidiata dalla 47’ fu percorsa da una ventata di ferocia che durò sette giorni.
(...) Il sergente che aveva sorriso aveva il viso bianco e sorrise ancora quando furono uccisi altri due contadini che stavano nella stalla, sotto il fieno della mangiatoia. Egli lasciò la sua immagine nella memoria degli abitanti di Provazzano, di Neviano, di Lupazzano, di Lodrignano; la lasciò bianca, esangue, sottile, col ciuffo dei capelli che gli scendeva sugli occhi privi di luce, la pistola serrata nella molle mano femminea, con la cintura su cui era inciso "Gott mit uns".
E ancora: I sergenti della "Hermann", per sette giorni, col sole che riempiva anonimo il cielo e ogni cosa alla sua ferma luce di ferro strideva e un grido subito si spezzava e non si udiva alcun volo di uccello né il fruscio di una lucertola, con le montagne lucide e immote e gli alberi, ombre di granito sui dirupi, il metallo ardente nell'acqua del greto e l'aria orrendamente vuota. I sergenti della "Goering" fecero comodamente quello che si sentivano liberamente di fare per ordini ricevuti, per gusto di razzia e di ferocia, e lo fecero anche nella notte, coi loro pallidi soldati dalla pelle liscia di donna.
- (...) - Com'è stato qui? chiese Afro senza guardarlo. Il vecchio si scosse, portò lo sguardo sul fondo dell'avvallamento, dove spuntavano i tetti di due case e dietro c'era un gruppo di frassini. - Figliolo - disse - è stata una cosa brutta. - Cos'hanno fatto?
- (...) sono arrivati di mattina presto. Io stavo in mezzo a questo campo e vidi i primi due della fila che parlavano, e poi uno infilò il viottolo e gli altri restarono sulla strada (. ...) e quando fui a pochi metri della case vidi quello che era andato giù solo parlare con la Lisa che aveva il bambino in braccio (. . .) e io sentii che spostavano dei mobili e poi sentii la Lisa che urlava "no.no, lui non partigiano, lui buono" (. . .) udii due o tre colpi, poi un urlo terribile, l'ho ancora qui. Gli spararono addosso (. . .) poi bruciarono il fienile e portarono via le vacche e il maiale. E uccisero il cane, anche il cane.
(. . .) Bruciarono case, impiccarono uomini, scagliarono il terrore sugli occhi dei bambini, e donne bambini, con gli stessi occhi, immobili guardarono i distruttori tornare verso la pianura con quelle tre parole incise sulla fibia del cinturone.
Per due giorni fu solo silenzio sopra le case, tra le ceneri nere dei cadaveri che penzolavano come rigonfi d'acqua azzurra. Sulle strade deserte e sui pendii, sull'erba dei prati e sugli alberi dove era solita passare l'ombra delle nuvole, non restava che l'impronta, vasta come la luce, di ciò che era accaduto.
In alto: il dipinto di Ubaldo Bertoli Il rastrellamento a Campora.
"In ogni civile può nascondersi un partigiano, dicevano i tedeschi, e a operazioni terminate i morti si contarono a decine, 34 a Neviano, 22 a Monchio e 13 a Palanzano, e ingenti furono i danni all'agricoltura con le stalle svuotate e i fienili bruciati ".





"I due vecchi udirono gli spari tagliare secchi l'aria estiva ... ".






"Gli spararono addosso poi bruciarono il fienile e portarono via le vacche e il maiale.
E uccisero il cane, anche il cane".