GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 3 - Numero 30
FONTANA DEL MIO PAESE
Testimonianze del passato ormai a rischio scomparsa
di Elda Cotti
La fontana di Signano di Mozzano restaurata una decina di anni fa.
Fontana d'acqua del mio paese
Non c'è acqua più fresca che nel mio paese
Fontana di rustico amore
Pier Paolo Pasolini, da "La nuova gioventù"
Il mio paese aveva più di una fonte: una in ogni gruppo di case e l'acqua vi giungeva freschissima e copiosa...
Nella valle del Termina queste testimonianze del passato si trovavano in genere sulla strada o all'incrocio di più strade. Un'architettura essenziale nelle sue forme, senza grandi decorazioni, funzionale, per sostenere le esigenze quotidiane della comunità.
Probabilmente il più antico tipo di fontana è quello sistemato sul posto, dove sgorga una sorgente, un muro è costruito intorno ad essa; sul fondo, delle lastre di pietra permettono di mantenere un'acqua pulita, senza terra, condotta nella vasca, l'erbj, da un coppo o da un tubo.
A volte Ie vasche sono due, divise da un pilastrino sormontato da una sfera o da un concio di pietra dal quale esce il cannello dell'acqua. Spesso, elemento che accomuna molte fontane della valle, trova posto una lastra votiva, a richiamo del sentimento liturgico legato alle acque. In alcuni borghi, come a La Bricola di Urzano, c'era un pozzo e la fontana era munita di pompa a manovella di cui tanti di noi ricordano i singhiozzi per venarla.
SI "ANDAVA PER ACQUA”
L'acqua non era a portata di casa: si "andava per acqua" alIa fontana il mattino presto: si prendeva al basèl: il lungo bastone di legno, un poco incurvato, con varie tacche alle due estremità per fissare il manico del secchio, veniva posto a bilancia sulle spalle e si andava alla fontana. E mentre I'acqua cantava nei secchi, c'era il tempo per scambiare impressioni sulla giornata, sulla stagione, raccogliere o donare le ultime novità del paese. La conversazione continuava anche verso casa, ritorno non certo spedito come l'andata, tipico l'ondeggiare dell'andatura per mantenere in equilibrio e non rovesciare il prezioso carico. I secchi pesavano sulle spalle, ma non si sentivano, quel che veniva ricordato era ben più importante. Poi le donne tornavano di nuovo ad attingere per cucinare, ma accadeva spesso che qualcuna, per strada, girato il primo angolo, buttasse l'acqua del secchio e ritornasse di nuovo alla fontana. Sì, perché intorno alla fontana nascevano speranze e amori, i giovani s'incontravano sfuggendo al controllo materno e si passavano di mano in mano, di cuore in cuore, storie e sogni.
L’ABBEVERATOIO E IL LAVATOIO
Due volte al giorno, il mattino di buon’ora e la sera al tramonto, uscivano daile stalle le mucche e le manze guidate dal contadino con al stombèl verso Ia fontana per abbeverarsi. Accadeva, a volte, di vedere i buoi aggiogati a un enorme barile di legno disposto orizzontalmente su quattro ruote, la castlèda, sostare fino al suo riempimento che doveva servire a casa come riserva d'acqua o per lavori di muratura, per il bestiame delle stalle più lontane.
E quante fatiche per il bucato hanno visto le fontane con il lavatoio! Era uno dei lavori più ingrati delle donne di campagna. È vero che ci si cambiava poco e con poco ci si vestiva, ma le case erano piene di bambini e ragazzotti e bisognava fare la bùghèda. Laboriosi gli strumenti del mestiere: il sapone fatto in casa utilizzando il grasso delle cotiche di maiale, l’olio e la soda. La cenere, preparata in casa secondo una ricetta antichissima, veniva usata come candeggina, spesso integrata con la lisciva.
Le lenzuola, le coperte e i panni chiari venivano lavati col sapone e poi disposti in un bigoncio di legno con due maniglie laterali, le orecchie, ed un buco sul fondo chiuso con uno straccio. Nel fondo del bigoncio si mettevano i panni più grossolani: stracci da cucina, asciugamani di canapone e poi altri panni sovrapposti in modo regolare, fino alla biancheria più fine adagiata in alto. Tutto il bucato veniva coperto da la bùgaròla, untelo di cotone o lino bagnato sul quale veniva cosparso uno strato di cenere bianca accantonata durante l'inverno. L'acqua riscaldata sul fuoco vivo in un paiolo di rame veniva versata sulla cenere con un movimento circolare; scendeva lentamente, la cenere rimaneva in superficie e la sua azione detergente si verificava. Si continuava a versare acqua bollente finché usciva tiepida dallo straccio che tappava il buco sul fondo. Veniva recuperata come alsìa per lavare i panni più scuri, i sacchi del raccolto e, per ultimo, i pavimenti.
Niente andava sprecato: aveva ragione San Francesco a lodare l'acqua pretiosa et casta. Oggi si apre il rubinetto e l'acqua va...
Si attendeva il raffreddamento, poi si toglieva ia cenere, si rovesciava in un angolo dell'aia, dove polli e galline andavano a razzolare svelti.
Ma la bùghèda non era finita, occorreva portare i panni a risciacquare nel lavatoio del paese. Naturalmente le donne ci andavano a piedi, cariche di cavagne e di panérj; qualcuna adattava un panno attorcigliato, arrotolato a spirale sopra il capo, e su questo poneva la panéra curando che rimanesse stabile. Poi, sicura, staccava le mani e, appoggiandole ai fianchi, iniziava ad andare. Quell’incedere calmo, cadenzato e armonioso aveva per me qualcosa di maestoso...
Il lavatoio della Bricola, demolito negli anni Sessanta, veniva vuotato e pulito una volta la settimana da una massaia che vi entrava per eliminare con uno spazzolone muschi, licheni, fango, recuperando fazzoletti, calzini, fibbie, bottoni, pezzi di sapone scivolati dalle mani. Durante la notte l'acqua limpida e fresca, gelida per metà dell'anno, gorgogliando riempiva lentamente la vasca.E il mattino dopo le donne attendevano il proprio turno per ardinsèr j pagn.
Un pezzo della storia dei nostri paesi è passato su quella pietra inclinata del lavatoio, resa liscia da anni e anni di panni strofinati e sbattuti con energia dalle nostre madri, dalle nostre nonne: le fasce dei bambini allattati, le pezze candide di lino delle giovani, tanti i chilometri di teli tessuti che hanno bagnato e ribagnato, tanti i corredi che hanno lavato e quanti sogni di giovani spose hanno accompagnato...
Le pesanti lenzuola di lino e cotone fatte al telaio, bianche di lisciva, venivano immerse nell'acqua del vascone, lavoro lungo e faticoso per sollevarle, sbatterle, torcerle. Venivano strizzate in due, una lavandaia da una parte e una dall'altra del lavatoio, collaborazione scontata, senza sottolineature. Spesso le mani erano gonfie, doloranti e, alla fine dell'inverno troppo fredda l'acqua del lavatoio dove venivano immerse arrossate dai geloni.
Una cantata, improvvisa, si alzava nell'aria, intanto l'acqua diventava più torbida e si ricopriva di una coltre sudicia saponata che tutte cercavano di allontanare dai loro panni.
E mentre i reati di varia natura, lettere anonime, furti, calunnie, amori clandestini, rancori, venivano discussi in quest'aula delle udienze a cielo aperto, il lavoro di risciacquo finiva, le braccia, intirizzite e spezzate dalla fatica, alzavano le cavagne sulla testa e andavano verso casa a stendere i panni sul prato e sulle siepi. E i bambini che intorno alla fontana avevano giocato a mosca cieca, a tana libera tutti, correvano a togliere il tappo della vasca osservando il grosso getto d'acqua sporca che fuoriusciva con impeto come se la stessa vasca fosse felice di liberarsi di tutte le chiacchiere più o meno benevole che quelle buone lingue vi avevano versato.
IL RUOLO SOCIALE DELLA FONTANA
Tra lo sciacquio dei panni e l'acqua della vasca che si andava sporcando, l'ambiente si animava di voci, si raccontavano esperienze, si scambiavano opinioni e tanti consigli: la vita non era certo facile tra le due guerre, ma le difficoltà quotidiane e una certa rassegnazione ai colpi del destino predisponevano l'animo popolare alla comprensione e alla consolazione.
Le donne avevano meno possibilità di muoversi dal paese e quindi minori occasioni di conoscenza. Inoltre, spesso la fontana rappresentava l'unico luogo, fuori dalle mura domestiche, al quale qualche donna poteva recarsi senza la preventiva autorizzazione del capofamiglia: là poteva liberamente incontrare parenti, amiche e vicine.
Al lavatoio si veniva a conoscenza di vita, morte e miracoli di tutto il paese: vi si portavano non solo i panni sporchi ma anche tutti i pettegolezzi, i segreti, gli scandali del borgo. E mentre stropicciavano, sbattevano, sciacquavano, torcevano, chiacchieravano, chiacchieravano...
E la fontana viveva, registrando, in... edizione parlata, la rassegna quotidiana dei fatti della comunità, il giornale che il paese non aveva e che mai avrà: la cronaca paesana di una vita semplice, intensa, di grande socializzazione. Era testimone di battesimi, sposalizi, funerali e lunghe processioni. Tanta era la gente che scendeva alla chiesa nel giorno di festa. E la fontana era là che cantava nella notte, le facevano compagnia le stelle, la luna, i gatti. La sua voce era familiare rassicurante.
E OGGI?
Ma, nella febbre di rinnovamento del dopo guerra, quando tutti avevano l'acqua in casa e si diffondevano le prime lavatrici a manovella, poi quelle elettriche, la vecchia fontana non serviva più e, tantomeno, il lavatoio e l’abbeveratoio. Erano simboli del passato che la poca lungimiranza di molti amministratori voveva cancellare.
Non ci sono più fontane in giro: se ne vede qualcuna nella nostra valle, secca da far pietà, malconcia, abbandonata, intristita al ricordo in cui cantava allegra. Le altre le hanno demolite, trasportate di nascosto in cortili privati o lasciate morire di noia e d'incuria: piano, piano, un giorno dopo l'altro, per abbandono lento... questo spazio sociale è sparito. Ora, in qualche piazzola della fontana sostano i cassonetti della spazzatura, la campana della carta e del vetro: oggetti senza musica e senza poesia. Il consumismo vorace ha inghiottito queste testimonianze di vita, segni radicati nella cultura e nella storia della nostra valle. Il paese ha voltato pagina, si scrive un'altra storia, ma la cara e vecchia fontana è ancora viva nel ricordo di generazioni.
Fontana del Palazzo a Ceretolo: asportata la lastra marmorea.
Mediano - Cavandola: fontana con lavatoio.
Sasso: fontana lungo la strada provinciale.
In tutto l'Appennino sono tantissime le fontane che meriterebbero di essere recuperate e ristrutturate per dare ancora ottima acqua a residenti e a villeggianti.
Verola di Antreola: bell'esempio di fontana restaurata.