GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 2 - Numero 18
ALBERTO MICHELOTTI: IL GRANDE ARBITRO
SI RACCONTA
DALLA GIOVINEZZA A PARMA AL PALCOSCENICO DELLA SERIE A
di Alessandro Garbasi
C’è chi dice che le grandi storie nascano per caso. Un incontro, due chiacchiere, e la rapida ascesa all’Olimpo del calcio, la serie A degli anni ‘70.
Siamo a Parma, estate 1930, 17 luglio, Fascismo al potere. Nasce Alberto Michelotti, figlio di ortolana di Oltretorrente, quartiere povero della Parma di allora. All’asilo, tra i compagni di scuola, c’era una bambina di un anno un più giovane, Laura. Poi scoppia la guerra e gli eventi sfuggono di mano. Sono questi gli anni in cui inizia a tessersi la trama che porterà Michelotti a mettere le radici a Urzano, frazione del comune di Neviano degli Arduini (Parma).
Abbiamo fatto due chiacchiere informali con uno degli arbitri più famosi del calcio italiano.
Alberto Michelotti, come è nato il suo legame con Urzano?
Ho iniziato a frequentare il paese perché mia moglie [Laura] in tempo di guerra era sfollata qui, in quello che chiamavano “il Palazzo”, che era una casa a due piani! Ma era praticamente l’unico edificio delle Coste di Urzano per cui lo chiamavano così. Oggi c’è ancora, e dovrebbe avere 100 anni quest’anno. Lì, per dieci-dodici giorni, c’era stato anche il comando dei tedeschi, ma poi erano andati via. Dopo la guerra mia moglie continuava a venire su tutti gli anni, e io la venivo a trovare. Arrivavo in corriera a Langhirano o a Santa Lucia [tra Neviano e Romazza] e poi salivo a Urzano a piedi, per boschi. Nel ‘54 ci siamo sposati e abbiamo deciso di continuare a frequentare questo paese. Subito eravamo in affitto, poi, nel ‘67, ci siamo costruiti la casa. E pensa che per tutto questo terreno avevamo speso 500 mila lire!
Quindi lei gli anni della guerra li ha vissuti in città?
Sì, ero in città. Io studiavo musica, sognavo di diventare un concertista. Poi è successo che un professore mi ha offeso a morte e in qualche modo mi ha cambiato la vita. Sai, io ero figlio illegittimo, mia madre era ortolana in Ghiaia, ma non avevo padre, non portavo la camicia nera e avevo avuto parenti uccisi dai tedeschi; poi i miei erano oltretorrentini veri, quindi insomma, per gente come quel professore ero un sovversivo. Fatto sta che un giorno c’era l’appello e mi dice: “Tu sei un bastardo, vai via!”. Subito ho mandato giù, ma la cosa mi ha fatto molto male. Poi mia madre se ne è accorta ed è andata a picchiare il professore! Era una donna del popolo, di quelle donne forti di una volta. Dopo ho cambiato sezione ma non è più stata la stessa cosa, e a 13 anni ho mollato tutto e sono andato a lavorare in officina.
Quando le è venuta l’idea di fare l’arbitro?
Avevo più o meno 30 anni. Io giocavo a calcio, io vengo dalla Giovane Italia, poi mi ha preso il Parma, poi il Parma Vecchia, Borgotaro, Fidenza, Bozzolo, Piadena. Ho fatto della serie C, ma ho sempre lavorato, anzi, a un certo punto ho messo su l’officina per conto mio. Poi mi sono rotto la clavicola, io ero portiere, eravamo in C contro lo Spezia. Allora un giorno un certo Franceschi che vendeva cuscinetti, viene in officina (lui faceva l’arbitro), e mi dice: “dai vieni a fare l’arbitro, col tuo carattere…”. “Ma dai, a 30 anni ormai sono vecchio”. Pensa che adesso cominciano a 16 anni e a 32 devono già esser lì. Ho cominciato e nell’arco di poco tempo sono arrivato in serie A. In 4 anni ero in A [dal 1968].
Subito ho fatto un po’ i ragazzini, la I categoria e l’Eccellenza, ma già il primo anno come arbitro ero arrivato primo in Emilia Romagna. Non tutti erano però concordi nel passarmi in C, che allora era semiprofessionistica, perché dicevano che avevo 30 anni, che non avevo esperienza… Poi l’anno dopo sono arrivato ancora primo e così ho iniziato con la C, poi la B e la A. in quel periodo era diventato presidente Bellè, sai il padre di Gianfranco, il giornalista. Anche lui era stato un grande arbitro, ed è stata una forza, perché ormai ero vecchio: alla mia età o andavo su o andavo a casa, e lui ha scommesso su di me. Poi nel ’73-‘74 sono diventato internazionale.
Con [Pierluigi] Collina l’altra sera parlavamo e diceva che una carriera come la mia oggi è irripetibile, e che sono stato uno di quelli più rimasti nella memoria insieme a Concetto Lo Bello. Anche perché poi ho continuato fino a quasi 52 anni! Quando ho iniziato mia moglie si lamentava perché alla domenica ero via, e io le dicevo che tanto sarebbe durato poco! Pensa, ho esordito a Napoli, in un Napoli - Varese, e la mia ultima gara è stata ancora a Napoli, in un Napoli - Juve che per la Juventus valeva il primo posto. Era l’ ’80-’81, e aveva vinto la Juve, aveva segnato Altafini, l’ex di turno. Poi, nonostante la sconfitta, Ferlaino mi diede una medaglia d’oro straordinaria alla carriera; poi ricordo un cartellone: “Michelotti, tu sì una cosa grande”, che è stata una cosa molto bella. Poi ho vinto il Guerino d’oro per quattro anni consecutivi e sono stato anche premio “Mauro”, che è la massima riconoscenza per un arbitro.
Che ricordo ha del suo esordio?
Bè, ti dirò che avuto una fortuna così. Ero abituato a 10000 persone, arrivo al San Paolo e ce n’erano 80000, tutti vestiti d’azzurro e con una statua di San Gennaro che barcollava di qua e di là: io non è che non fossi presente, ma ero frastornato. In venti minuti vinceva il Napoli 3-0, poi ne hanno fatti altri due. Avrò fischiato una volta! Era il 14 aprile 1968, la vigilia di Pasqua, il Napoli era una squadra forte, aveva Zoff in porta, Barison, Altafini ecc. Anche il Varese, però, aveva dei bei giocatori, tra cui Picchi e Anastasi.
La serie A ha cambiato qualcosa nei suoi rapporti con la gente?
Niente. L’unica cosa è che tutti mi conoscevano, non potevo fare niente senza che lo sapesse tutta Parma, ma alla fine era anche piacevole. Però non bisogna atteggiarsi. Io facevo l’artigiano, l’ho continuato a fare perché allora gli arbitri non prendevano niente, andavo sotto a degli autotreni e lavoravo con i camionisti assolutamente come prima. Sono solo 3-4 anni che gli arbitri sono diventati professionisti. Io ho fatto delle trasferte a Bari, per esempio, tutta la notte in treno e poi alle 7 e mezza ero in officina.
Secondo lei il fatto che gli arbitri di oggi siano sempre al centro di polemiche è determinato anche dalla loro inesperienza dovuta alla giovane età?
Sicuramente. Adesso li mandano a casa a 45 anni, che è un grave errore, perché un uomo a 45 anni è nel fiore della sua maturazione, ha esperienza, è psicologicamente forte, io l’ho detto più volte. Ma Blatter, il presidente della FIFA, li vuole giovani. Così quando arrivano lì non hanno quella maturazione necessaria. Tu vedi lo stesso Collina, è maturato verso i 41-42 anni. Guarda Saccani, adesso va via perché ha 45 anni, ma è negli ultimi due che è esploso, e lo mandi a casa!? Ma non è giusto! Poi
sai, con il trambusto che c’è stato con Calciopoli, Moggi e via dicendo, ne sono andati via 10 o 12, che erano i più maturi, e si sono trovati che da due anni sono bersagliati, poverini. E poi le moviole: quando c’ero io ce n’erano due, adesso ce ne sono 37-38 in ogni campo! Dovrebbero cancellarla la moviola. O meglio, per un arbitro è molto educativo, però nei confronti della gente alimenta sempre delle discussioni e dei motivi di polemica. Addirittura oggi ti leggono il labiale! Invece io ero un arbitro di quelli che non badava a spese, davo qualche schiaffone io! Adesso vai nei guai. Invece io davo sberle, spintoni…; era diverso. Pensa che la mia prima espulsione di grido è stata a Corso, il capitano dell’Inter. Era la seconda volta che andavo a San Siro, e quando succede un arbitro si sente importante, è po’ come essere Muti sul palco della Scala. Era un Inter - Verona, partita che sulla carta l’Inter doveva vincere 3 o 4 a 0. E invece non riusciva a segnare. Allora c’era molta sudditanza psicologica, ma a me non importava, e quando l’Inter faceva fallo io lo fischiavo. Così, all’ennesimo fallo, mi si avvicina Corso e dice: “Lei pensa di andare avanti ancora un po’? se continua così lei non mette più piede a San Siro!”, “A io no? Pedala, vai fuori!”, “Come! Ma lei non sa chi sono io!”, “Non mi importa, vai fuori, il numero 10, pedala!”. San Siro era fuori di testa! E Corso ha preso 5 domeniche! Poi, al di là di quello, siamo diventati molto amici. L’altro episodio col botto è stato con Rivera. Sono stato due anni senza arbitrare il Milan! Era successo che la penultima partita Lo Bello fa Milan - Juventus e non vede un rigore su Bigon. La domenica dopo il Milan va a Cagliari, il Cagliari di Riva. Il Milan è avanti di un punto sulla Juve, vado io e all’89° do un calcio di rigore contro il Milan: perso il campionato. Un casino! Arriva Rivera e dice che sono uno della Federazione, che ce l’ho col Milan e via dicendo. Allora gli dico: ”tu fai dei sacrifici, ma io li faccio più di te! Fuori, aria!”. Viene poi un altro: “Fuori”. Due giocatori fuori. Morale, sono stato due anni senza fare il Milan. Un giorno sono dovevo andare a Barcellona per la Coppa delle Fiere (la Coppa dei Campioni di allora), era un Barcellona - Ajax. Il Milan, invece, doveva andare a Madrid per giocare contro il Real. Siamo partiti insieme da Milano, eravamo sullo stesso aereo e a un certo punto vedo Rocco, l’allenatore, che viene da me e dice di volermi parlare: “al ritorno io, tu e Rivera ci fermiamo a Madrid finché non fate la pace, perché due numeri uno non devono essere in collera, sono due anni che non vi parlate!”. Una persona eccezionale! Al ritorno, nella hall dell’albergo a Madrid, Rocco chiama Gianni [Rivera], ci prende per mano e dice: “Adesso voi due fate la pace”. Quell’anno lì il Milan l’ho fatto 8 volte!"
Allora il designatore era molto influenzato dalle grandi società?
In parte. Poi al mio capo ho riferito che avevamo avuto quell’incontro chiarificatore a Madrid e pochi giorni dopo, il Milan, che aveva una amichevole col Trento, che era in serie C, ha subito fatto richiesta che mandassero me, e io ci sono andato, per consolidare la pace. Sembrava il Concilio di Trento!
Manca la morale nel calcio?
Ma sì, il partecipare non esiste più, non è più un gioco. Guarda Calciopoli (e poi non pensare che sia cambiato qualcosa), il doping ecc. Io ho fatto l’artigiano, e quando serviva andavo ai corsi d’aggiornamento. Questi qui che fanno i calciatori non conoscono i regolamenti! Infatti gli psicologi lo dicono: chi tira i calci? Gli asini. Però nel tirare i calci anche un asino usa il cervello! Vedi, basket, pallavolo e rugby e altri sport, vengono dalla scuola, c’è un’altra educazione. Il calcio viene dalla strada, all’ombra del campanile… e lì? Che regole ci sono? Hai mai sentito i genitori nelle partitelle dei ragazzini della parrocchia?: “Spaccagli le gambe!”. Ah io, lì, divento cattivo! Che cultura è? Guarda le partite del baseball: se non sai le regole non capisce niente. Nel calcio invece si pretende di giudicare senza sapere le regole! Ci sono dei giocatori di basket che vanno ai corsi di arbitro come uditori, tanto per sapere le nuove norme!domenica ci sono state tante proteste per un rigore, ma in quell’azione ce ne erano tre! Nel calcio non c’è cultura, si gioca senza sapere le regole, e questo è molto triste.
Addirittura oggi sta nascendo la figura professionale del “motivatore”!
Sì! Sta a sentire, io mi andavo ad allenare alle 6 del mattino, a mezzogiorno, alla sera perché avevo l’officina e non avevo altro tempo. Mi sono fatto un mazzo così. Tutti i giorni dall’officina andavo a Collecchio e tornavo indietro, facevo 20 km nell’arco di due ore, un po’ di cavallo pesto, un panino e dentro nell’officina. Capito? Adesso (sto parlando degli arbitri) al mercoledì sono a Coverciano e hanno: psicologo, preparatore tecnico, fisico, tattico, motivatore, massaggiatore, fisioterapista… Ma ragazzi! Il motivatore! E poi sono strapagati. Adesso un arbitro percepisce anche 10000 euro a gara più un 60-70 mila euro l’anno. Noi invece eravamo dei ruspanti, a me pagavano le spese e una quota fissa di 60 mila lire (che poi hanno portato a 80 gli ultimi anni), che diventavano 120 se dovevo stare via alcuni giorni, magari all’estero o in Brasile, e, come ti dicevo, ho sempre continuato a lavorare nella mia officina.
Sai che adesso faccio una trasmissione calcistica su TV Parma. Una volta viene in studio il motivatore che il Parma ha assunto 3-4 anni fa. A me scappava da ridere. Lui mi diceva: “Vè Michelotti, lei ride!”. Io non ne ho mai avuti di motivatori, io avevo due figli a casa, l’officina, la famiglia, il lavoro, lo sport: il mio motivatore è quello vè!
-Quindi allora la preparazione fisica degli arbitri era autogestita?
Sì, io mi arrangiavo da solo. Solo un periodo mi trovavo con Maccanelli, che era stato un mio allenatore. Mi aspettava tutti i mezzogiorno al Tardini e facevamo giri di campo, ginnastica ecc. Noi i raduni a Coverciano li facevamo solo raramente.
Il direttore di gara parmense, al termine della partita del campionato brasiliano Santos-Botafogo, posa con l'indimentcabile campione carioca Pelè.
Alberto Michelotti con Franz Beckenbauer, in una foto scattata in occasione dell'inaugurazione dello stadio Olimpico di Monaco di Baviera. Si affrontavano per la prima volta le formazioni della Germania Est e della Germania Ovest, in un incontro valido per le qualificazioni ai mondiali del 1978. La Germania Ovest di Beckenbauer vinse 3-2 dopo che nel primo tempo perdeva 2-0.
Michelotti oggi e in un ritratto di Proferio Grossi che raffigura questo appassionato di Verdi nei panni di Don Carlos.
A lato: Il gagliardetto dei Giochi Olimpici di Montreal.
L'intervista ad Alberto Michelotti continuerà nel prossimo numero di Montepiano