GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 2 - Numero 16
AVVINCENTE BIOGRAFIA DI MATILDE
MATILDA DEI GRATIA SI QUID EST
di ALBA MAZZA
Con il suo libro, "Matilda dei gratia si quid est", (98 pagine) edito nel 2006 dal "Centro Studi Valli del Termina" di Lupazzano (Parma), Adriano Cappellini riscopre la grande figura della Contessa di Canossa. Gli chiediamo il perchè di questa fatica storico-letteraria.
Ancora una biografia di Matilde. Che senso ha, visto che ce ne sono già tante?
"E' un personaggio che dice ancora molto, poiché il periodo in cui visse, gli eventi di cui fu protagonista e testimone furono del tutto originali nel loro dispiegarsi. Si trattò di uno di quei momenti storici in cui tutto sarebbe potuto cambiare con poco, in cui le possibilità evolutive erano particolarmente ampie ed altamente probabili. A livello di ucronia, cioè di quella corrente storiografica che si diletta a fare “storia con i se…”, il periodo storico di cui Matilde fu testimone e protagonista assurge ad una congiuntura che rendeva aperte varie possibilità di sviluppo. Insomma l’esito della lotta per le investiture non fu scontato né sempre chiaro, proprio perché frutto di compromessi fra contrastanti forze sovente non in grado di soverchiare l’avversario, ma tese alla fin fine a ricomporre un quadro di interessi comuni su sfere di dominio diverse e con scenari nuovi prodotti proprio da quelle lotte, si pensi allo sviluppo qui nel nord Italia delle entità comunali, con cui già Matilde dovette fare i conti".
Perchè uno scrittore con interessi in ambito storico è spinto a scrivere un romanzo come questo?
Se, su di un piano generale è possibile affermare che cerchiamo nel passato il senso del nostro agire, ad un livello più individuale credo che l’interesse per il romanzo storico derivi proprio dalla possibilità da un lato di rendere tutto verosimile, rappresentare ciò che era com’era, quindi fare storia in costume, come diceva Hobsbawn, dall’altro di permettere di vivificare al presente quel momento, riportandolo con la fantasia che crea il romanzo a sensazioni odierne e che però ci sono sempre state. Si pensi alla più importante, l’amore.
A questo proposito, ritiene di amare il suo personaggio e come è nata questa figura?
Matilde è l’amore ipostatizzato, come non esiste in realtà, quello che vorremmo tutti che fosse ed invece sbattiamo contro la delusione del vivere che ci riporta a terra con capitomboli continui.
Lei è l’amore eterno, quello che dura sino alla morte ed oltre, ma è assolutamente platonico, è amore nonostante lui incontri Prassede, l’altro personaggio femminile del libro, estremamente importante per lo sviluppo della trama.
Ne deriva un romanzo con un forte tratto distintivo che lo situa in una sorta di limbo onirico, utopico. Per questo il racconto procede con lentezza in un cammino che non è solo quello descritto ma è il senso stesso della storia dei due personaggi, di Matilde e del suo vassallo che compiono insieme il viaggio della loro vita.
Matilde è allora un personaggio vero o piuttosto un'invenzione letteraria?
Credo che la distinzione non abbia grande senso, poiché ho idea di una funzione vera del letterario, ossia attuale della dimensione storica. Direi allora che in quanto romanzo storico è più importante la verosimiglianza. Il personaggio compie i viaggi che i documenti storici ci testimoniano realmente compiuti dalla Matilde storica, gli ambienti sono quelli di allora, le chiese, i castelli, le città, i boschi e le montagne vengono raffigurati come ricostruzione. È invenzione letteraria la storia d’amore tra Matilde ed Arduino, ovvio, ma anche questa è descritta come se avesse nella storia vera le sue radici profonde, loro insomma sono uomini del loro tempo.
Quale significato ha, oggi, una figura femminile come Matilde? A me pare ancora contemporanea. E' così anche nel romanzo?
No, ritengo che la Matilde del romanzo sia a-storica nel senso non di fuori dalla storia ma che appaia come una figura giunta nel momento in cui la storia è terminata, è in un qualche modo finita come avanza con una suggestione Hegel nelle Lezioni di filosofia della storia. La fine della storia significa la cessazione di ogni ostilità positivistica, di sapore romantico, di incessante e sicura tensione ad un futuro migliore, che sia nell’aldilà o nel miglioramento delle società umane. Nel romanzo viene superato ogni finalismo teleologico, ci sono loro due in viaggio, i loro ricordi, la morte che giunge a quietare tutto ed archiviare un tempo che non ci sarà più, un tempo da dimenticare, che chiude le porte e spranga le finestre all’inverno che sopraggiunge. È un po’ una sorta di chiusura di quella finestra spazio-temporale che dicevo storicamente aperta in quel momento particolare. Con la morte dei due personaggi termina quell’attimo di incertezza e la storia si rimette sui binari di un succedersi degli eventi concatenato con causa ed effetto, verso un punto di sicuro miglior manto per l’umanità.
Ci sono aspetti particolari nella narrazione e del linguaggio?
Il racconto è in realtà un susseguirsi di scene ambientate nello spazio e nel tempo su dimensioni differenti. C’è il momento di chi legge, quello di
Arduino che racconta in prima persona, poi tutto passa alla seconda persona plurale quando si accede al ricordo che si confonde con una sorta di sogno, di passato che riaffiora inevitabilmente. Il mutamento continuo dell’io narrante può non rendere “facile” la lettura, eppure consente al lettore di immedesimarsi con più compiutezza nella storia, di entrarvi con i propri pensieri e la propria storia.
Il linguaggio presenta un’abbondanza descrittiva, con frasi ricche, dense, con scarsa punteggiatura. Da ultimo vi sono ogni tanto alcune poesie che spezzano la narrazione e la rialzano al livello onirico di cui dicevo prima.
Non si scrive mai per se stessi. Allora, cosa voleva comunicare?
In realtà il testo nasce come gioco mio personale, ovvio che quando si scrive si immagina sempre un lettore, che può anche identificarsi con lo scrittore ma non con il suo io-narrante. Si crea una sorta di schizofrenia per cui una parte entra nel romanzo, parla e pensa come i propri personaggi, prova le loro emozioni, vede qui paesaggi ma una parte rimane a leggere e a stupirsi continuamente. A me accade al mattino quando vado a rileggere ciò che ho scritto.
Ma non è questa la scommessa maggiore, ossia la necessaria separatezza tra l’io narrante e l’io lettore, bensì il riuscire nel processo di disvelamento della realtà da parte dello scrittore. “Chi scrive parla di cose che tutti conoscono ma che non sanno ancora di conoscere”, così sostiene il premio Nobel Orhan Pamuk. Io stesso mi sono divertito a rileggere ad esempio le descrizioni di paesaggi che conosco bene, o almeno credevo, e che la mia scrittura mi ha mostrato in modo diverso, sconosciuto a me stesso. Sempre Pamuk sostiene: “lavoriamo con pazienza e speriamo di riuscire a creare un mondo profondo attraverso la scrittura.”
Per il resto, assolte queste funzioni, credo che si scriva davvero per sé. Se così non fosse, si mancherebbe di serietà rispetto all’essenza e all’immediatezza della vita, perché scrivere è un modo come un altro di vivere e bisogna farlo con onestà perché sia vero e perché si avvicini al mistero del senso della vita stessa.
Da ultimo: è un libro per reggiani?
Matilde non era reggiana, erano i reggiani ad essere di Matilde! Grazie alla politica dei suoi avi e di Bonifacio in particolare, grazie alla dote materna, la zona di influenza del potere di Matilde si estendeva da Brescia a Lucca, passando per Mantova, Parma, Reggio, Modena. Era una sorta di piccola Lotaringia che collegava nord e sud ed impediva nel contempo flussi est-ovest. Insomma un blocco spaziale raro per il nostro paese, che Matilde si trovò a controllare in un momento per nulla facile.
Per il resto, nel romanzo, i luoghi sono quelli cari a Matilde, certo la valle dell’Enza, non solo reggiana perché all’epoca il fiume non era confine e non lo sarà ancora a lungo, per fortuna. Creava, al contrario , una vera e propria entità territoriale. Allora direi un libro che ha nella val d’Enza uno degli scenari più importanti, ma che inizia a Castel Anghinolfi a Massa. Mi piacerebbe che il romanzo fosse metaforicamente rappresentato dal vento marino che soffia a volte d’inverno nella valle.
Adriano Cappellini
E' dirigente scolastico nel Liceo Psico-pedagogico di Parma. Autore di vari saggi a carattere storico, collabora con l'Università di Modena e Reggio
"E' invenzione letteraria la storia d'amore tra Matilde ed Arduino, ovvio, ma anche questa è descritta come se avesse nella storia vera le sue radici profonde, loro insomma sono uomini del loro tempo".
"Matilde non era reggiana, erano i reggiani ad essere di Matilde".