GLI ARTICOLI SU MONTEPIANO
Anno 2 - Numero 13
QUELLA DOLCISSIMA TORSIONE
CORREGGIO E LA VERGINE INCORONATA: OSSERVAZIONI DI ICONOGRAFIA
di Alessandro Garbasi
Correggio, ancora Correggio. Il 2008 è stato un anno denso di eventi per celebrare la figura del più grande pittore reggiano del Rinascimento (Correggio 1489 ca. - 1534). La mostra alla Galleria Borghese di Roma ha inaugurato le danze, poi è stata la volta di quella bellissima di Parma, completata dalla “Camera di San Paolo” e dalla spettacolare visita in quota alle cupole affrescate del Duomo e del San Giovanni. La mostra parallela allestita nella città natale di Antonio Allegri, Correggio appunto, ha sviluppato il discorso, e così le decine di altre piccole esposizioni a tema che hanno fatto da corona all’evento. Come se non bastasse, nello stesso tempo, l’altra grande mostra del nord Italia divisa in più sedi, quella dedicata a Matilde di Canossa e all’arte del suo tempo, ha portato i suoi visitatori a Mantova, luogo correggesco degli esordi (con gli affreschi della chiesa di Sant’Andrea), e a San Benedetto Po, dove, in fondo alla parete del refettorio dell’antico cenobio, che ospitava la mostra, vi è la parete che è stata attribuita, ancora una volta, al giovane Correggio. Il 2008 è stato anche l’anno che ha visto aumentare sensibilmente il catalogo delle monografie a lui dedicate (addirittura Lupo Alberto ha scelto di rendergli omaggio!), e il 2009 potrebbe essere ancor più scoppiettante per gli studi correggeschi. Nel dicembre scorso è stato infatti presentato da Cristina Cecchinelli un documento che riscriverebbe la cronologia della cupola del Duomo, e con essa gran parte della seriazione temporale delle opere del Maestro.
E così, è proprio il caso di dire, ancora Correggio. Sì perché tutti questi accadimenti e la oggettiva grandezza dell’artista, hanno stimolato la curiosità di approfondire.
Partiamo dalle premesse. Quando un pittore metteva mano a una nuova opera, doveva preliminarmente studiare la composizione, disegnare alcuni bozzetti e poi riportare sul supporto scelto le linee geometriche che gli avrebbero permesso di costruire gli spazi, la prospettiva e così via. Spesso queste linee sono ancora ben individuabili, e, nelle opere più “moderne” di Correggio, quelle principali sono diagonali che dividono l’opera in due pseudo-triangoli. Semplificando, è come se il consueto schema piramidale entro il quale si inserivano madonne in trono e santi, fosse scivolato su un lato della composizione, facendo coincidere il vertice e l’altezza del triangolo con il lato destro o sinistro del quadro. Questo accorgimento determina il decentramento del baricentro delle composizioni, ed è funzionale alla rottura dell’equilibrio statico che predominava nelle pale tradizionali. Quindi, geometria nell’opera di Correggio certamente, e anche tanta e attentamente studiata, ma spesso tesa a ottenere effetti dinamici e nuovi.
Passiamo ora all’oggetto della nostra attenzione, la scena dell’Incoronazione della Vergine.
L’affresco, dal 1937 conservato nella Galleria Nazionale di Parma, era stato dipinto dal Maestro per il catino absidale della chiesa parmigiana di San Giovanni Evangelista, poi staccato a massello negli anni Ottanta del ‘500 (e allo stesso tempo copiato fedelmente da Cesare Aretusi nel nuovo catino) per salvarlo dalla demolizione dell’abside, avvenuta per la necessità di allungare il coro della chiesa. Il tema dell’Incoronazione della Vergine, cioè il momento che segue l’Assunzione della Madonna e in cui Cristo la incorona a “Regina dei Cieli”, aveva già una lunga tradizione quando Correggio lo affrontò, intorno alla prima metà degli anni Venti del ‘500. A livello iconografico abbiamo almeno tre soluzioni principali: la Vergine incoronata da Cristo o da Dio Padre (seduta o inginocchiata), la Vergine incoronata da entrambi, e la Vergine incoronata dagli angeli. La scelta più adottata fino ai tempi di Correggio è senza dubbio la prima, nella versione con la Madonna seduta e incoronata da Cristo. Nella maggior parte dei casi la Vergine è sulla sinistra, mentre Cristo, a destra, compie l’azione, allungando una o due braccia. A noi, tuttavia, interessa notare come Maria abbia sempre le spalle più o meno frontali rispetto al Figlio: i due corpi si guardano, uno di fronte all’altro, inscritti in uno schema simmetrico piuttosto statico, anche quando gli artisti hanno cercato di addolcirlo dipingendo i protagonisti di tre quarti. Vediamo alcuni esempi lungo il corso dei secoli. Risalgono al ‘200 l’Incoronazione nel ricciolo del pastorale del Museo Civico Medievale di Bologna, e quella nella vetrata di Duccio nel duomo di Siena. Nel ‘300 un buon esempio lo abbiamo proprio a Parma, negli affreschi devozionali del Battistero. In seguito ritroviamo lo stesso soggetto in un dipinto di Beato Angelico nella Pinacoteca degli Uffizi (1432 ca.), nel sigillo della città di Parma del 1471, e in altre decine e decine di esempi, tra i quali quello bellissimo di Giovanni Bellini nella pala di Pesaro (1472-1475 ca.) e quello di Raffaello nella pala degli Oddi (1503). Quando Correggio dipinse la sua Incoronazione, aveva questi modelli a disposizione, anche di grande qualità ma tutti piuttosto tradizionali. L’Allegri, invece, coerentemente con la sua ricerca volta a spezzare la staticità delle composizioni e a ricreare la grazia femminile, era interessato agli effetti che la nuova moda rinascimentale delle torsioni dei corpi aveva sulla resa dei personaggi. Così, dopo un attento studio, mantenne un’iconografia consueta per Cristo (di profilo, che con una mano incorona e con l’altra tiene lo scettro), ma introdusse una importante novità nella posa della Vergine, che per quanto mi è dato sapere, non compare nelle Incoronate precedenti alla sua: Correggio applicò lo strumento della torsione alla Donna dell’Incoronazione, ruotandole il busto tanto da farle dare le spalle al Figlio. Tutto qui. Con questa semplice trovata l’Allegri produsse un movimento sinuoso, dinamico e armonioso, che frantuma quella “rigidità” che la composizione aveva ereditato dalla tradizione. In altre parole, Correggio aveva introdotto nell’iconografia del tema il dinamismo. Sappiamo dai quattro bozzetti che ci sono pervenuti, che il Maestro aveva elaborato questa soluzione solo dopo una attenta e lenta ricerca, durante la quale aveva disegnato diverse volte la Vergine, intervenendo soprattutto sulla postura delle gambe e sull’inclinazione del capo. Questi disegni lasciano intravedere un percorso mentale talmente logico e lineare da far credere che Correggio fosse arrivato alla sua soluzione senza debiti verso altri artisti: il disegno che si ritiene cronologicamente più antico è molto diverso dagli esiti finali; tuttavia è interessante notare il rapporto esistente tra questo studio e la Vergine del dipinto attribuito a Giulio Romano della Galleria Nazionale di Parma, tanto più che questa opera era stata commissionata dalle benedettine di San Paolo, le prime committenti di Correggio in città, intorno al 1520, cioè pochi anni prima della realizzazione dell’abside dell’Incoronata, che da questo dipinto sembra desumere anche la postura del San Giovanni. In un secondo momento, Correggio aveva abbandonato questa soluzione per uno schema ancora piuttosto tradizionale, con la Vergine protesa verso Cristo sia con la testa che con le ginocchia [FIG. 1]; poi, visto che anche quell’immagine non garantiva gli effetti desiderati, cominciò a lavorare sulla torsione; la soluzione cui giunse lo soddisfaceva, tuttavia rimaneva un grosso problema: l’inverosimiglianza anatomica di quella posizione [FIG. 2]. Già Michelangelo nel 1507 ca., nella Vergine del Tondo Doni, aveva utilizzato una movenza simile, e per ovviare allo stesso problema aveva direzionato le spalle della Madonna all’indietro, verso l’interno della composizione. Ma l’artista toscano era notoriamente interessato agli effetti di tensione dei muscoli, per cui quel movimento “difficile” andava più che bene, e l’espediente di chinare leggermente all’indietro la schiena era sufficiente a dare verosimiglianza al movimento. Correggio no. Correggio non voleva assolutamente mettere in tensione la sua Vergine; lui al contrario aveva sempre ricercato la grazia e la dolcezza nelle sue donne, sia nelle espressioni che nelle movenze. Così, nella versione definitiva (tramandataci da Cesare Aretusi essendo l’originale pervenuto a mezzo busto), aveva risolto il problema mettendo le ginocchia quasi in posizione frontale rispetto allo spettatore (prima erano rivolte a Cristo), poiché questa piccola modifica gli consentiva di rendere naturale e sciolta la torsione. Ma non è finita qui. Il Maestro sapeva perfettamente che le ginocchia rivolte a destra, applicate a quella torsione, avrebbero accentuato notevolmente l’impressione rotatoria (lo aveva sperimentato nel secondo disegno - FIG. 2), e quindi gli effetti dinamici a cui non voleva rinunciare.
Allora si inventò una trovata semplice e geniale: dipinse un putto in basso, alla destra di Maria, che le solleva il manto, creando l’illusione (e sottolineo l’illusione) che le ginocchia vadano ancora in direzione di Cristo, aumentando l’effetto rotatorio del busto, senza, però, che quella dolcissima torsione risultasse anatomicamente complicata [FIG. 3-4].
Tuttavia, strano davvero, una simile intuizione sembra essere passata alquanto inosservata. Non venne adottata da Parmigianino nel bozzetto a lui attribuito per l’Incoronazione dell’abside della chiesa della Steccata a Parma, e non venne adottata da Michelangelo Anselmi quando la dipinse negli anni ‘40 del XVI secolo. Non venne ben intesa nemmeno dagli altri pittori che tra ‘500 e ‘600 si ispirarono al modello correggesco. Ce lo testimoniano il dipinto della parete absidale della chiesa parmigiana di San Cristoforo, attribuito alla prima metà del ‘500 (che è forse quello più aderente all’iconografia originale), la pala di Fermo Ghisoni (probabilmente con aiuti) della chiesa di Ognissanti a Mantova e, ancora nella seconda metà del ‘600, l’affresco nel soffitto della Sagrestia Nobile della Steccata. Sembra, insomma, che tutti questi artisti, che hanno certamente attinto dal modello correggesco, non abbiano compreso fino in fondo la novità di questa graziosa e funzionale torsione, forse ingannati dalla consuetudine, dal putto che solleva il panneggio e dall’impressione di una torsione sbagliata.
Movenze simili nell’arte prima di Correggio ce ne sono, ma sono spesso applicate a contesti e situazioni diverse da quella di Parma (figure isolate come nella volta della Cappella Sistina o in rapporto ad altre in secondo piano, come nel già citato Tondo Doni). Esempi invece concettualmente analoghi a Correggio, con la Vergine che gira le spalle al suo interlocutore, sono piuttosto rari, ma si possono individuare in alcune Vergini Annunciate dell’area senese. La più celebre, e probabilmente il prototipo per le successive, è certamente quella dipinta da Simone Martini e Lippo Memmi nel 1333, oggi conservata nella Galleria degli Uffizi. Poco meno di due secoli dopo, l’iconografia ricompare in almeno due delle Annunciazione di Girolamo del Pacchia, in quella della chiesa di San Lorenzo a Sarteano (1514 ca.) e in quella della Pinacoteca Nazionale di Siena (1518 ca.). Il confronto con le opere del Pacchia è tanto più significativo in quanto di sua mano ci è pervenuta anche una Incoronazione (Siena, chiesa di Santo Spirito), che si presenta tuttavia ancora nella sua veste più tradizionale. Dunque, questi esempi dimostrano come Correggio non avesse inventato dal nulla quella torsione, che per altro anche lui aveva già utilizzato sempre nel San Giovanni; al Maestro si deve però la felice intuizione di averla applicata alla Vergine dell’Incoronazione, rinnovando in modo discreto ma prorompente uno schema iconografico ancora sostanzialmente statico e vecchio di qualche secolo.
Disegni: Francesca Bersani
FIG.4: copia da Correggio
FIG.3: copia da Correggio
FIG. 2: Copia da Correggio
FIG. 1: Copia da Correggio
Correggio, Incoronazione della Vergine, affresco staccato, cm 212 x 342, Parma, Galleria Nazionale.